Guiyu, il cimitero cinese dell’hi-tech che avvelena l’aria

Il Papa ha regalato a Trump una copia della sua enciclica sull’ambiente. Ma sarebbe il caso di tradurla anche in cinese e regalarla a Xi Jinping. Che la Cina sia tra i leader mondiali dell’inquinamento è noto, ma prendiamo il caso di Guiyu, città di 150.000 abitanti sulla costa sud del paese asiatico. Qui c’è il cosiddetto cimitero degli apparecchi elettronici. Magari la chiameranno capitale dell’e-waste ma non serve a indorare la pillola. Per l’ONU è il luogo più inquinato del pianeta. L’economia cittadina è fondata sul riciclo di materiale elettronico, comparto nel quale lavorano otto abitanti su dieci, direttamente o nell’indotto. Qui si smembrano 1 miliardo di telefonini all’anno, 800 milioni di PC e quasi 2 miliardi di TV al plasma. La costa che si affaccia sul Mar Cinese Meridionale è quella dove sono concentrate la maggior parte delle aziende dell’hi-tech, una specie di Silicon Valley del Dragone. Che qui ha la sua discarica. Ma non solo aziende cinesi. A mandare qui i rifiuti hanno iniziato USA, Europa, Giappone  e Sud Corea. Da qualche anno, tuttavia, la Cina è passata in testa diventando capofila degli scarti digitali. Che non sono numeri, bit o impulsi elettronici, ma plastica, vetro, metalli, acidi: materiale tangibile. Gran parte del quale inquina ed è nocivo per la salute. Guiyu potremmo definirla una specie di Taranto cinese. Come nella città dell’Ilva, infatti, i più a rischio sono gli abitanti del posto, inclusi i lavoratori che tutti i giorni maneggiano quei rifiuti senza protezioni. L’aria è avvelenata e le case non hanno nè filtri nè depuratori. Uno studio ha calcolato che la percentuale di tumori tra gli abitanti della zona supera del 64% la media nazionale. Ma perchè “tira” tanto il mercato dei rifiuti elettronici ? Dagli apparecchi che usiamo ogni giorno si possono estrarre oro, argento, platino, palladio, stagno, rame. Ma anche composti chimici come berillio, cadmio e mercurio, che sono utilizzati – ad esempio – per la produzione di batterie. Questo ha generato un mercato appetito da molti abitanti delle zone povere dell’entroterra che migrano qui in cerca di stipendi migliori. La corsa all’oro, però, ha compromesso la salute di migliaia di persone.

di Valerio Di Marco

 

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