Sicilian Gosth Story

Un film tremendamente bello, di impegno civile-poetico, perché solo la forma cinematografica abissalmente poetica, drammatica può renderne il contenuto civile, può anzi portarlo oltre la cronaca agghiacciante ed elevarlo a pagina della storia, della coscienza di un intero Paese. Coscienza anche nel senso di inconscio sepolto, sia negli adulti che hanno velocemente dimenticato, rimosso questa vicenda, sia – soprattutto – delle ragazze, dei ragazzi di oggi che non l’hanno mai ascoltata. Eppure essa – come tanti altri misteri d’Italia – continua a sommuoversi sotto lo strato di oblio che la occulta ma non ce la fa a cancellare. A tratti riemerge, poi si inabissa di nuovo. I due autori hanno trovato una delle poche strade narrative – se non l’unica – per strapparla davvero dal tumolo di terra sotto cui continua ad agitarsi, a chiedere aria, voce, immagine. Strapparla e sollevarla a un’altezza, a un vertice di dignità umana con le ali d’angelo, contro la violenza ctonia, infernale che vuole annientarla. Che siano una ragazza e un ragazzo a farci vivere-rivivere – attraverso la loro sensibilissima recitazione – questa tremenda pagina di mafia dimenticata è certamente la scelta giusta compiuta dai due registi. La scelta giusta per raccontarla a ragazze e ragazzi d’oggi, per farla sentire loro sulla pelle, la stessa pelle di Luna e Giuseppe che percepiamo sullo schermo. Se Fabio Grassadonia e Antonio Piazza nel loro precedente film, Salvo, avevano fatto ricorso – non gratuitamente – al miracolo della vista riacquistata, qui sembra attingano alla fiaba. Non è però proprio così. Semmai più al sogno, inteso come speranze, possibilità concrete, che altrettanto concretamente vengono stuprate in nome di una legge in forma di oscura quanto indiscutibile “necessità” della violenza. Così la gosth story di Luna e Giuseppe, il lor legame d’amore adolescenziale è così radicato in quella spietata terra di Sicilia, da stringerli come Giulietta e Romeo, ma forse più come Aida e Radames nel sepolcro di un’ingiusta condanna della storia nazionale. Metafora anche, di una terra più vasta, di un paese che è sempre meno per giovani, cancellandone spesso sogni, speranze, possibilità concrete.

di Riccardo Tavani

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