Una manifestazione per la democrazia ed il lavoro.

Sabato 17 giugno, la CGIL è scesa in piazza per protestare contro il tentativo del Governo Gentiloni di reintrodurre i voucher, nella manovrina correttiva dei conti pubblici: un’azione semiclandestina che di certo non depone a favore del governo che, dopo averli abrogati per fare decadere il referendum del 28 maggio, voleva riproporli sotto non troppo mentite spoglie.
I voucher, ovvero i Buoni Lavoro, furono introdotti sotto il secondo governo Berlusconi, con la legge 30/2003, (“Legge Biagi” dal giuslavorista ucciso un anno prima dalle Nuove Brigate Rosse); però questa regolamentazione del lavoro occasionale, rimase a lungo lettera morta. Solo nel 2008, durante il breve secondo governo Prodi, ne venne data attuazione, precisandone limiti e utilizzo (per esempio nel lavoro agrario). Successivamente il loro utilizzo venne esteso ai lavori di tipo occasionale con prestazioni brevi, come quelli domestici (colf, badanti, giardinieri) e a quelli particolarmente estemporanei (hostess e stewart in eventi, lezioni di ripetizioni) senza tutele assicurative, senza coperture previdenziali e senza regolarità fiscale, in cui il pagamento era normalmente “in nero”. Poi, nel 2009, sotto il quarto governo Berlusconi (legge 33/2009) venne stabilito che dal 2010 i Buoni Lavoro venissero estesi a tutti i soggetti. Più tardi, i governi Monti e Letta, ne liberalizzarono ancor più l’uso, eliminandone anche la natura occasionale, ponendo soltanto un vincolo per il lavoratore di massimo 5000€ annui; sotto il governo Renzi (nel Jobs Act), questo limite è stato alzato a 7000€ e ne è stato aggiunto un altro di massimo 2020€ annui, per ciascun committente.
Se l’intento inziale dell’introduzione dei voucher fu quello di ridurre l’incidenza del lavoro irregolare di realtà ben circoscritte, la loro successiva estensione ad ogni settore produttivo, lo hanno reso uno strumento per eludere il fisco, i versamenti previdenziali ed evitare sanzioni, in caso dell’ispettorato del lavoro e, mancando di differenziazioni per tipologie lavorative, i vaucher consentono anche un modo di retribuire meno di quanto previsto, certi lavori.
Per tutto questo la CGIL aveva raccolto ben 3,3 milioni di firme per la loro abrogazione, attraverso un referendum che si sarebbe dovuto tenere il 28 maggio 2017. Ma prima di allora, l’attuale governo a marzo li ha aboliti (facendo così decadere il referendum) e ne ha proposta la reintroduzione, in modo riformulato e chiamandoli in modo diverso, Libretto Famiglia e PrestO (da Prestazione Occasionale): il primo è composto da tagliandi telematici da 10 euro (più 2 di contributi e assicurazione), per baby sitting, giardinaggio, pulizie; il secondo riguarda le micro aziende (sotto i 5 dipendenti) al di fuori dell’edilizia e del settore minerario e che non eseguano appalti di opere e servizi (ma potrà essere usato eccezionalmente anche dalla P.A.) e prevede una paga oraria minima di 9 euro (più il 33% di contributi e l’assicurazione per infortuni e malattie professionali), ridotta in caso di lavoro agricolo, uniformandola al CCNL di categoria; per entrambi, si potrà anche accedere direttamente dal portale dell’INPS, tramite internet. Ma anche i nuovi vaucher, pur avendo dei paletti per i quali le aziende che ne abusino siano costrette ad assumere il dipendente, rappresentano una certa stortura giuridica perché di fatto sono un contratto di lavoro, senza un rapporto di lavoro, esentando il datore da diversi obblighi e responsabilità, sanciti in Costituzione.
Ma più degli effetti pratici e di quelli giuridici, più della necessità di trovare un modo per legalizzare il lavoro occasionale, il motivo per cui il maggiore dei sindacati italiani ancora una volta è sceso in piazza contro un governo (quasi) amico, è che questo abbia cercato di sfuggire dal confronto democratico del referendum (o coi sindacati), abrogando quello strumento tanto contestato, per poi reintrodurlo, in modo subdolo, una volta decaduta la consultazione. La Segretaria Generale della CGIL Susanna Camusso, parlando a nome di tutti gli esponenti della politica e del sindacato (di sinistra), ha affermato che l’aver derubato del diritto al voto su questo tema, ha rappresentato uno schiaffo alla democrazia, per il quale il sindacato ha condotto e conduce una battaglia a viso aperto, perché “non si possono derubare i cittadini del voto”. Il premier Gentiloni, in linea col modo di gestire il potere del PD di Renzi, ne ha relativizzato l’importanza, rispondendo che quella manifestazione “non è dei sindacati, ma di uno”, dimenticando che l’opposizione del maggiore sindacato italiano coincide col malessere dell’elettorato del suo stesso partito.
Chissà se la batosta delle amministrative, dovuta ad una forte astensione di chi non creda più al proprio partito, farà capire qualcosa alla segreteria PD…

di Mario Guido Faloci

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