I venticinque anni dalla strage di via D’Amelio

Se dovessimo elencare dieci momenti chiave della storia della nostra Repubblica difficilmente tralasceremmo la strage di via D’Amelio. Lunedì 19 luglio ricorre il venticinquesimo anniversario della morte di Paolo Borsellino, il magistrato assassinato dalla mafia con cinque agenti della sua scorta. Difficile riassumere in poche righe una vicenda che ha segnato un quarto di secolo della nostra storia, tra processi, indagini, false piste, supposizioni. Una vicenda che ha permeato il sentire comune, le coscienze, il costume del nostro paese. E allora non si può che procedere per flash, istantanee di un giorno in cui siamo diventati tutti più poveri. Il pranzo del magistrato insieme a moglie e figli a Villagrazia di Carini. Il tragitto insieme alla scorta verso casa della madre in via Mariano D’Amelio. Le 16:58. La Fiat 126 parcheggiata vicino al portone d’ingresso e imbottita di tritolo che esplode uccidendo oltre al giudice anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Lo scoppio fece anche 24 feriti. E poi, a ritroso, Borsellino che sapeva di essere “condannato a morte”, conscio che la mafia raramente si lascia sfuggire le sue vittime designate. L’intervista a Lamberto Sposini di pochi giorni prima. Il carico d’esplosivi che sapeva essere arrivato a Palermo proprio per essere usato contro di lui. La richiesta alla questura di far rimuovere i veicoli antistanti l’abitazione della madre. La richiesta che rimane lettera morta. Ci sono voluti quattro processi per stabilire i responsabili di quella mattanza, ma nonostante le condanne di vari esponenti dei clan, parecchi interrogativi sono rimasti in sospeso. Si è parlato, si parla e si parlerà (per quanto ancora non si sa) dei mandanti occulti, dell’agenda rossa sparita dal luogo dell’eccidio, della trattativa Stato-mafia. E forse la parola fine non sarà mai scritta.

di Valerio Di Marco

 

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