Omicidio Pasolini: la morte di Pino Pelosi e la ricerca della verità

Si è spenta lo scorso 20 Luglio, con Pino Pelosi, quella che con ogni probabilità rappresentava l’unica flebile speranza di arrivare ad una verità sulla morte di Pier Paolo Pasolini.
Pelosi è morto a Roma all’età di 59 anni dopo aver lottato a lungo contro un tumore, portando con sé le risposte ad uno dei più grandi misteri degli ultimi quarant’anni di storia italiana. Unico condannato per l’omicidio Pasolini.
Su quella notte del Novembre 1975, Pelosi ha fornito negli anni versioni contrastanti. A poche ore dalla morte di Pasolini viene arrestato mentre sfreccia alla guida dell’auto dello scrittore sul lungomare Duilio di Ostia. L’accusa è quella di furto d’auto, Pelosi ammette e racconta di aver rubato la vettura in zona Tiburtina. Dell’omicidio di Pasolini le Forze dell’Ordine non sanno ancora nulla. Le cose cambiano quando, accanto al corpo dello scrittore, viene ritrovato un anello di proprietà di Pelosi. Inizia qui la trentennale ricostruzione di quel pischello allora diciassettenne.
Il primo resoconto fornito da Pino la rana fu quella dell’omicidio a sfondo sessuale. Adescato vicino la Stazione Termini, all’epoca notoriamente zona di prostituzione maschile, Pelosi sarebbe salito a bordo dell’Alfa GT di Pasolini che, dopo avergli offerto una cena al ristorante Il Biondo Tevere, lo avrebbe condotto verso l’Idroscalo di Ostia. Lì l’incontro sessuale, a seguito delle insistenze di Pasolini, sarebbe poi degenerato prima in litigio poi in colluttazione. Pelosi racconta di essere stato aggredito, di aver reagito alla violenza dello scrittore per poi fuggire a bordo della sua auto quando quest’ultimo era ormai a terra rantolante. La morte, sopraggiunta per schiacciamento del torace, sarebbe stata del tutto accidentale. In questa prima versione Pelosi dichiara di essere solo sul luogo del delitto.
Il 10 Dicembre 1975 il Tribunale dei minori lo rinvia a giudizio con le accuse di omicidio volontario, furto d’auto e atti osceni in luogo pubblico. Pelosi viene condannato a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni di reclusione più una multa da 30.000 lire. Emerge per la prima volta un dato rilevante, secondo la Corte si tratta infatti di “omicidio volontario in concorso con ignoti”.
In appello cambia di nuovo tutto. La Corte d’Appello afferma che Pelosi ha agito senza complici. La sentenza viene confermata in Cassazione il 26 Aprile del 1979. Quello Pasolini è un banale caso di omicidio sessuale. Un incontro come tanti tra un omosessuale e un marchettaro finito in disgrazia. Una cosa che da Pasolini ci si poteva anche aspettare, avranno pensato in tanti ( “ Se l’è cercata” fu il commento dell’allora Presidente del Consiglio Andreotti).
Nel frattempo Pelosi sconta la sua pena finché, nel Luglio del 1983, ottiene la libertà condizionata. Negli anni a seguire entra ed esce dal carcere tra furti e spaccio. È il 2005 quando torna a parlare, stravolgendo la precedente confessione. Ai microfoni del programma Ombre sul giallo Pelosi ritratta tutto, si dichiara innocente e, per la prima volta, conferma un sospetto più volte circolato negli anni precedenti: quella notte insieme a lui ci sarebbero state altre tre persone due delle quali con accento siciliano che avrebbero picchiato anche lui, minacciando di morte lui e la sua famiglia qualora avesse rivelato qualcosa su quella notte.
Il sospetto si rivolge subito ai due fratelli Franco e Giuseppe Borsellino, criminali della stessa cerchia di Pelosi e militanti dell’Msi. La Procura di Roma riapre il caso, una svolta sembra finalmente possibile finché non si scopre che, per partecipare al programma di Franca Leosini, Pelosi ha ricevuto un compenso. La sua credibilità cola di nuovo a picco e il caso viene chiuso.
Parla ancora, Pelosi, nel 2011 tra le pagine della sua autobiografia e di nuovo nel 2014 intervistato per la terza volta da Franca Leosini.
Parla e racconta un’ennesima versione di quella notte. Sì c’erano più persone, sì ci sono state le minacce di morte, la paura che lo ha spinto ad accollarsi quell’omicidio, che lo ha spinto ad un silenzio lungo decenni per proteggere la sua famiglia ma stavolta Pelosi racconta qualcosa di molto diverso sul suo rapporto con Pasolini e sul perché quella notte fossero diretti proprio verso l’Idroscalo.
Non più un casuale incontro notturno con approdo ad Ostia per un rapido incontro sessuale ma una frequentazione andata avanti per tre mesi e un ben preciso appuntamento all’idroscalo tra Pasolini e i responsabili del furto agli stabilimenti cinematografici della Technicolor durante il quale erano state sottratte anche le bobine del film Salò. Lo scopo dell’incontro sarebbe stato per Pasolini quello di ottenere, sotto pagamento di un riscatto, le bobine del suo ultimo film mentre Pelosi, secondo questa versione, avrebbe svolto un ruolo di “mediatore” tra lo scrittore e i detentori delle pizze ( soggetti ovviamente a lui noti). Quegli stessi detentori che si sarebbero poi trasformati nei carnefici di Pier Paolo Pasolini.
Ancora, per la prima volta Pelosi dichiara apertamente che all’Idroscalo, sulla scena del crimine, c’erano anche i fratelli Borsellino. Entrambi deceduti negli anni Novanta per Aids. Verità dunque sepolte. Pelosi fa i nomi di chi non ha più voce ma tace sempre, fino alla fine, il nome di quella quarta persona presente, secondo le sue parole, sulla scena del delitto. Una ricostruzione fumosa, anche l’ultima. Verità cambiate nel tempo, ritoccate, riadattate.
“ Io so’ piccolo […] io so come è morto Pasolini, no il perché”.
Sono passati 42 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini. In 42 anni questo Paese non ha voluto conoscere e far conoscere né il come né il perché di un omicidio che ha segnato con un messaggio ben preciso la nostra storia.
A Ottobre del 2014 il caso è stato nuovamente archiviato con una sentenza che decretava la “probabilità della presenza di altri soggetti oltre al Pelosi”. Da mesi la richiesta di riapertura delle indagini giace sul tavolo della Procura di Roma. Ci sono 5 profili genetici che non appartengono né a Pasolini né a Pelosi, eppure nessuna risposta. Con la scomparsa di Pino Pelosi quel che restava di una già quasi esaurita speranza di arrivare ad una verità subisce un colpo letale. “ Esiste una verità, la verità non è morta con Pino Pelosi. Ma è talmente pesante e difficile da poter raccontare con semplicità”, dichiara Alessandro Olivieri, avvocato di Pelosi.
Eppure una via, se ci fosse la volontà quantomeno di tentare, esisterebbe. E ne è convinto anche l’avvocato storico della famiglia Pasolini, Nino Marazzita. Questa via si chiama Johnny Lo Zingaro ( al secolo Giuseppe Mastini).
Quel Johnny Lo Zingaro tornato sotto le luci della ribalta proprio in queste ultime settimane per essere evaso dalla detenzione. Ripetutamente si è ipotizzato fosse lui il quarto uomo presente all’Idroscalo. L’anello che Pelosi raccontò essergli stato regalato da Johnny Lo Zingaro ritrovato accanto al cadavere di Pasolini, il plantare di una scarpa ritrovato nella vettura dello scrittore compatibile con quello utilizzato dallo Zingaro a seguito di una sparatoria, la frequentazione degli stessi ambienti criminali ( quelli frequentati anche dai fratelli Borsellino) sono tutti elementi che rendono quantomeno probabile la sua presenza sulla scena del delitto.
“Magari la cattura rappresenterà l’input per chiedergli delucidazioni […] i mezzi giudiziari ci sono e non capisco perché non si proceda”, dichiara l’avvocato Marazzita.
Una via verso la verità forse esiste ancora: interrogare quanto prima Giuseppe Mastini sui fatti del 1 Novembre 1975. Resta solo un nodo da sciogliere: questo Paese la vuole davvero la verità?

Di Martina Annibaldi

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