PASQUINO LA STATUA PARLANTE

Il principe della Satira, la Statua che ha deriso e ridicolizzato i potenti, dal ‘500 ai giorni nostri la più famosa statua “parlante” di Roma.
È quello che rimane di un antico gruppo di statue del periodo ellenistico, copia romana di un opera greca, in bronzo, fatta dallo scultore Antigonos, raffigurante Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente. Venne alla luce per caso nel 1501, durante i lavori nella residenza del cardinale Oliviero Carafa, oggi palazzo Braschi. Il cardinale la fece posizionare su un piedistallo, all’angolo del suo palazzo. È ancora è lì.

Ma perché è chiamato Pasquino? Sull’origine del nome ci sono diverse interpretazioni.
Chi lo vuole riferito a un oste, chi a un barbiere, chi a un ciabattino, chi dice che era il nomignolo dato da irrispettosi alunni a un professore di un vicino ginnasio. Chiunque esso sia stato, diede il via alle “pasquinate”, la voce del popolo, sotto forma di scritti anonimi, e come dice un famoso detto “voce di popolo. voce di Dio”.

Scritti di Satira e di ironia verso i potenti o personaggi di rilievo, tanto che le frasi lasciate spesso provocavano la loro ira. Per questo ha rischiato molte volte di essere rimossa e distrutta. Per tentare di fermare il fenomeno furono imposte severe pene per i colpevoli delle pasquinate.

ll 26 aprile 1563 Alessandro Pallantieri nominato Governatore di Roma, fece emettere un Bando che “comminava la pena di morte a chiunque scrivesse o collaborasse a scrivere libelli infamanti, li leggesse, li pubblicasse o li tenesse presso di sé”. Per ironia della sorte questo bando fu fatale allo stesso Governatore, che divenne la vittima più illustre di Pasquino.

Così le pasquinate continuarono e in barba alle pene il popolo diceva la sua. .. in forma anonima. Una famosa “pasquinata’ fu quella contro Napoleone Bonaparte, che aveva preso il vizio di prendere le opere d’arte nei paesi conquistati e portale in Francia, che diceva “…è vero che i francesi sono tutti ladri? Tutti no, ma Bona Parte”. Oppure quella contro i Barberini, in particolare contro Urbano VIII Barberini, colpevole secondo il popolo di aver spogliato i decori in bronzo del Pantheon per fare il Baldacchino di San Pietro in Vaticano, diceva: “quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”, quello che non hanno fatto i barbari, hanno fatto i Barberini. Per la morte di Paolo III Farnese, Papa grandissimo ma accusato di nepotismo, cioè
di avere concesso ricchezze e poteri ai suoi parenti, Pasquino pronunciava “In questa tomba
giace un avvoltoio cupido e rapace. Ei fu Paolo Farnese, che mai nulla donò, che tutto prese.
Fate per lui orazione, poveretto, morì d’indigestione”.

Per la morte di papa Alessandro VI Borgia, accusato con tutta la sua famiglia di violenza, lussuria e crudeltà invece diceva “qui giace Alessandro sesto. È sepolto con lui quanto venerò,
il lusso, la discordia, l’inganno, la violenza, il delitto”.

La voce di Pasquino era diventata l’unica voce libera, in un periodo dove non era pensabile esprimere le proprie idee.

Era tutto lo sfogo del popolo che denunciava le ingiustizie, le prepotenze delle curie, delle famiglie patrizie e in certo qual modo tentava di aggredire il sistema nepotistico e di malgoverno. Una sorta di quello che ai giorni nostri sono i fogli di alcuni giornali, che con ironia e satira colpiscono politici e personaggi in vista.

A Todi, Pasquino è stato preso come esempio, famose sono le pasquinate tuderti inizialmente diffuse su fogli fotocopiati, ora diventati veri e propri volumetti di raccolta arricchiti di vignette. Anche per le pasquinate tudertine il bersaglio sono i personaggi noti della città. Nessuno viene risparmiato. Ovviamente il Pasquino umbro al pari di quello romano, è rigorosamente anonimo.

L’ultima pasquinata romana degna di nota risale alla vigilia del 20 Settembre 1870, giorno della breccia di Porta Pia e fine del potere temporale del Papa. Pasquino presagendo l’epilogo, volle donare un ombrello, come protezione, al pontefice, “Santo, Padre benedetto, ci sarebbe un poveretto, che vorrebbe darvi in dono questo ombrello. È poco buono, ma non ho nulla di meglio. Mi direte: A che mi vale? Tuona il nembo, santo Veglio e se cade il temporale?”.

Pasquino era la voce del popolo romano, l’indice dell’umore delle masse, in un epoca dove la libertà, di idee e di opinione, veniva spesso soffocata. La repressione, ha amplificato la voglia di Libertà quella con la elle maiuscola. Essa è un bene troppo grande, irrinunciabile che si conquista anche con lo scritto. Come prevede la nostra Costituzione che all’articolo 21 recita: “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

di Antonella Virgilio

Print Friendly, PDF & Email