Un’estate infuocata, bruciata

Incendi e siccità: una brutta estate, quasi un assaggio del futuro più brutto che ci minaccia, sempre più da vicino, a ricordarci che cosa vuol dire “effetto serra” e riscaldamento del pianeta. L’estate spensierata delle vacanze sembra ormai trasformarsi in una stagione di ansie e di preoccupazioni. Forse è proprio vero che abbiamo toccato il punto di non ritorno e che non sia più possibile recuperare le stagioni dei nostri ricordi; forse dobbiamo attrezzarci a far fronte a un cambiamento non più futuribile, ma già presente. D’altronde, non ha senso prendersela con il destino cinico e baro: la responsabilità è nostra ed è, soprattutto, nostra responsabilità farci carico del problema e tentare di non esserne sopraffatti.
Nostra? Ma davvero possiamo fare qualcosa?
In realtà la politica, sia a livello nostrano che mondiale, non sembra avere l’ambiente in cima alla lista delle sue preoccupazioni. Gli accordi di Parigi, sebbene importanti come principio, sono piuttosto timidi, essendo ispirati ad un compromesso tra diverse esigenze, tra le quali l’economia rimane preminente, come se essere più o meno ricchi possa avere importanza su un pianeta in cui la desertificazione avanza e la riduzione delle risorse idriche ed alimentari preannuncia nuove pressioni migratorie, di fronte alle quali l’entità dell’attuale flusso di migranti ci farà sospirare di nostalgia. Davvero si può parlare di economia (nei termini in cui oggi la intendiamo) mentre il ghiacci polari si riducono progressivamente, i mari sono con certezza destinati a salire ed il clima si estremizza cambiando in peggio tutti gli ecosistemi? Hanno ancora importanza il PIL o la produzione industriale quando cambiamenti climatici epocali non sono più una prospettiva ma un’attualissima realtà?
È necessario saperlo, che il nostro oggi è già diverso dal passato e che il nostro domani esige un’inversione di rotta. Non è pessimismo: è consapevolezza. Anzi, personalmente, io non sono per niente pessimista. Certo non nel senso di non vedere quel che sta succedendo. Ma consapevolezza vuol dire anche ricordare che l’umanità ha superato le ere glaciali e le pandemie di peste e di vaiolo ed è ancora qua. Sopravviveremo. Ma pagheremo anche un prezzo. Certo che almeno un tentativo serio di rispondere al cambiamento con misure adeguate non sarebbe poi male. Non sarebbe male ridurre le emissioni di gas serra in modo più drastico, e smetterla di essere succubi del petrolio. È tecnicamente possibile, anche se politicamente sgradito. Non sarebbe male una politica planetaria di produzione di acqua dolce per i paesi più assetati: se noi dobbiamo soltanto smettere di sprecarla, c’è chi ne ha proprio poca, ed è tecnicamente possibile dargliela.
Dovremmo cercare di curare il Pianeta e smettere di depredarlo.
E invece, ci sono persone che scientemente cercano di distruggere la vegetazione appiccando incendi con modalità che assicurano il massimo del danno nel più breve tempo possibile. Forse siamo assuefatti agli incendi estivi: in fondo ci sono tutti gli anni e in quasi tutto il mondo. Eppure, ogni anno gli incendi riversano nell’atmosfera tonnellate di fumi e di CO2, tanto per dare una spintarella ulteriore all’effetto serra (a certuni il caldo non basta mai!) e distruggono l’unica difesa naturale contro tale fenomeno. Perché è il verde che consuma CO2 e produce ossigeno; è il verde che modera il microclima e dovrebbe essere incrementato e non ridotto.
Sarà così difficile una politica di prevenzione degli incendi, o è meglio accelerare la discesa verso la desertificazione?
A proposito di consapevolezza, è proprio l’indifferenza della politica verso i veri problemi dell’umanità a minare il mio ottimismo di principio. È troppo presa dall’abbraccio tra Pisapia e la Boschi. È troppo occupata ad approvare la legge-bufala sui vitalizi; oppure il decreto sui vaccini, dimenticando che in Italia si muore più di inquinamento che di malattie infettive.
Vorrà dire che per sopravvivere pagheremo un prezzo più alto.

di Cesare Pirozzi

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