L’uccisione di Ninni Cassarà nell’agosto del 1985

Ninni Cassarà era un poliziotto italiano, con la carica di vice dirigente della squadra mobile di Palermo negli anni ‘80, temuto da Cosa Nostra per la sua abilità investigativa, per l’importante dossier (su Michele Greco e altri 160 membri dell’organizzazione) che aveva costruito facendolo diventare base per quelle indagini che avrebbero, successivamente, portato al Maxi processo.
Acuto e attento, nel corso della sua attiva carriera, Cassarà aveva partecipato anche all’operazione Pizza Connection, in collaborazione con la polizia degli Stati Uniti. Il suo lavoro lo viveva, insieme ad alcuni colleghi, con grande passione, desiderando debellare il fenomeno mafia, convinto, a ragione, che, lavorando insieme, si potesse creare un sistema con una forza tale che nemmeno i boss mafiosi avrebbero potuto sottrarsi ad una punizione e, con loro, tutta Cosa Nostra.

Si accorse, un brutto giorno di essere solo, con pochi altrettanto soli, a combattere contro la maledetta piovra, quando, dopo essersi presentato al processo Chinnici, avendo raccontato dell’intenzione di Chinnici di procedere all’arresto dei Salvo (potentissimi), fu soggetto di un’opera di desertificazione intorno. Chi sapeva tacque, chi avrebbe potuto confermare le sue affermazioni non ricordò. Smemorati ex amici lo dimenticarono o non lo sostennero.

Una strana solitudine quella che lo colpì, una solitudine che affliggeva uomini che si muovevano all’interno di contesti che avrebbero dovuto dimostrare unità, che avrebbero dovuto attrarre l’interesse e la simpatia della gente. E sicuramente la gente la simpatia la nutriva nei confronti degli uomini come Ninni Cassarà ma chi si opponeva (oppone) alla mafia non era poi sostenuto con vigore né dalle istituzioni né dal contesto sociale nel quale i singoli, pur apprezzando il lavoro svolto contro l’organizzazione mafiosa, non si univano mai in un gruppo coeso pronto alla lotta, restando tutti, terribilmente, singoli e soli, come Ninni Cassarà. Facili bersagli della grande organizzazione mafiosa.
La solitudine e l’isolamento sono stati e sono attualmente la grande forza delle mafie.
Ninni Cassarà, pur accorgendosi dell’enorme difficoltà e solitudine nelle quali era costretto a muoversi, continuò però imperterrito nel suo lavoro.

L’uccisione di Salvatore Marino e di Giuseppe Montana lo portarono ad accrescere la sua attenzione negli spostamenti, consapevole di essere il successivo bersaglio di Cosa Nostra. Per questa ragione utilizzava piccole strategie, cambiando percorso, muovendosi senza schemi, trascorrendo giorni interi in ufficio. Quel livello di protezione non fu, però, sufficiente e il giorno del suo omicidio arrivò. Era il 1985.
Cosa Nostra gli tese un agguato il 6 agosto in via Croce Rossa. Lo attesero a lungo nella via di casa, dove, quando scese dall’auto su cui si trovavano anche Roberto Antioca e Natale Mondo, gli esplosero contro oltre duecento colpi di kalashnikov. Roberto Antioca, raggiunto dai colpi, morì subito, mentre Ninni Cassarà riuscì a raggiungere le scale di casa, dove si spense tra le braccia della moglie Laura che, dalla finestra, aveva assistito all’agguato. Si salvò solo Natale Mondo, uomo della scorta, che sotto quella pioggia di proiettili ebbe appena il tempo di rifugiarsi sotto l’auto (Natale Mondo fu successivamente assassinato).
Con l’uccisione di Ninni Cassarà la Mafia è riuscita nell’intento di togliere l’ennesima speranza di riscatto ad una terra, ad un intero popolo.

di Patrizia Vindigni

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