Ong sotto accusa. La battaglia sull’immigrazione è aperta.

Sembra passata un’epoca da quando le immagini delle bare senza nome allineate in un hangar sull’isola di Lampedusa o il corpo senza vita di Alan Kurdi, il bambino siriano fotografato riverso su una spiaggia, smuovevano gli animi e facevano scattare un sentimento diffuso di solidarietà verso quell’umanità in cerca di rifugio da violenze e povertà.
Oggi, evidentemente, per molti sembra essere diventato difficile considerare quelle donne, quegli uomini e quei bambini come esseri umani, portatori di storie e speranze, e non come profughi, clandestini o richiedenti asilo. Altrimenti come si potrebbe mettere in dubbio che è giusto e doveroso salvarli dalla morte?
Certo, dopo, ma solo dopo, è sacrosanto ragionare su come fermare gli scafisti, su come accogliere i richiedenti asilo e come condividere lo sforzo, nel nostro Paese e in Europa e, magari, come dare corpo e contenuti al vacuo, e spesso ipocrita, proposito di “aiutarli a casa loro”.
Nella canea di molta informazione e di quasi tutto l’arco politico alla ricerca del consenso elettorale, chi vuole salvare vite umane si ritrova sul banco degli imputati. Certo, è possibile che alcuni volontari abbiano commesso errori ma, sotto accusa, sembra essere la pratica stessa della solidarietà.
Il ruolo dei volontari delle Ong impegnate nel Mediterraneo è esploso nel 2014 dopo la sospensione dell’operazione Mare nostrum, la missione di salvataggio in mare condotta dalla Marina e dall’Aeronautica militare italiana, indegnamente sostituita da Frontex, un’operazione della UE pensata per “difendere le frontiere”.

E’ in quel momento, di fronte all’inazione e al fallimento dell’Europa, che associazioni e cittadini si sono sentiti in dovere di intervenire ma, nonostante il loro impegno, nel solo 2016 sono morte in mare 4.733 persone.
Stando ai dati dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) quest’anno , fino a metà giugno, sono 2.108 i migranti e i rifugiati che hanno perso la vita nel Mediterraneo e, di questi, 2.011 sono deceduti sulla rotta del Mediterraneo centrale tra il Nord Africa e l’Italia.
I numeri dicono che sarebbero necessari più soccorritori, non meno.

Nessuno si illuda che un’umanità tanto disperata da lasciarsi alle spalle affetti e legami possa rinunciare all’unica possibilità di salvezza solo perché rendiamo ancora più probabile il loro naufragio.

Il sottotesto di questa campagna di demonizzazione delle Ong sembra affermare che è meglio lasciare morire i profughi in mare piuttosto che farli arrivare a “casa nostra”.

E’ triste pensare che siamo arrivati a questo punto. Vite “a perdere” sacrificate sul piatto elettorale.

di Enrico Ceci

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