Tra Donald e Kim chi rasa i belli capelli di chi

I pazzi saremmo noi a ritenere che quella tra Donald e Kim sia solo una sfida tra folli. Soprattutto se ritenessimo che il secondo – Kim Jong-un – sia, non tanto tra i due, quanto il più folle di tutta la Terra. Ciò che è in gioco, nella partita a scacchi atomici tra la Repubblica Popolare Democratica di Corea e gli Stati Uniti d’America, è la supremazia di questi ultimi e dell’intero Occidente sul pianeta. Per Occidente si deve intendere i pesi più ricchi ed economicamente, tecnologicamente più sviluppati del mondo. Quelli che tali sono a scapito dei paesi più poveri o sulla soglia stessa di sopravvivenza. Tra questi, però, ci sono quelli che hanno discrete risorse economiche interne da investire in armamento. Ora l’unico armamento con valore strategico è non solo quello atomico, ma tutto il sistema altamente tecno-scientifico di puntamento, attacco, difesa e contrattacco.

La Corea del Nord è un paese che ha deciso di dedicare la magna parte delle sue risorse nazionali allo sviluppo di sistemi di attacco e difesa missilistico-nucleari sempre più avanzati. Questo al fine di esercitare una pressione costante tesa a indebolire la supremazia occidentale, fino a scalzarla del tutto nel lungo periodo. Ancora più che la vecchia Albania di Enver Hoxha, il Nord Corea si è costituito in regime a parossistico sfondo ideologico comunista, che nega ogni diritto di libertà e dignità esistenziale alla sua popolazione, ridotta alla fame e all’indigenza. Tale vera e propria satrapia ereditaria si è chiusa a riccio in sé stessa, al punto che nessuno è in grado oggi dire come stiano effettivamente le cose al suo interno. Questo dal punto di vista bellico-strategico si potrebbe chiamare “Arrocco corto blindato”, ossia un tipo di difesa – nel gioco degli scacchi – pressoché impenertrabile. E l’attaccante per scardinare questo tipo di arrocco deve prima o poi aprirsi ed esporsi a un pericoloso contrattacco dell’avversario.

Ora è chiaro che Trump può ordinare un attacco sia convenzionale sia nucleare contro la Corea del Nord, ma sarebbe veramente da pazzi illudersi che il regime non si sia dotato di una rete di bunker antiatomici sotterranei, dai quali sferrare in remoto e in automatico computerizzato il contrattacco. Chi ha più da perdere in un simile scambio di smash tennistico nucleari? Non certo Pyongyang, la cui popolazione ha talmente poco da perdere materialmente che la fuga, l’esodo verso la Cina o la Corea del Sud costituirebbe addirittura un’opportunità di liberazione insperata e irripetibile. Ondata migratoria che verrebbe, al contrario, a costituire uno spinoso problema sociale interno per chi se la vedrebbe all’improvviso rovesciare addosso.

C’è poi da considerare che la partita non è puramente scacchistico-militare. Come insegna Von Clausewitz ogni piano militare è davvero efficace solo se ha alle spalle un disegno politico. Quello strategico a lunga scadenza di Pyongyang abbiamo detto quale sia. E nel perseguirlo sarebbe ancora una volta da folli pensare che – aldilà della figura clownesca del dittatore – il paese non disponga di un team di analisti nei campi sia della politica che dell’economia. I fattori di crisi economica del forziere occidentale sono d’altronde talmente vistosi che non bisogna essere per forza dei Nobel per comprenderli e fare leva su di essi per sfruttarli a proprio vantaggio. Teniamo sempre presente che la partita nord-coreana si gioca sullo stesso largo campo di quella con la Cina, la quale rappresenta soprattutto la principale e più rischiosa sfida economico-commerciale che gli Usa si trovano ora a fronteggiare. Un rischio al quadrato, dunque, se non addirittura al cubo per gli Usa e l’Occidente tutto. Anche una schermaglia limitata tra Donald e Kim potrebbe innescare una reazione a catena economico-monetaria senza limiti definibili. La reazione isterica delle borse mondiali al “preludio” missilistico di Pyongyang sul Giappone lo ha “strillato” chiaramente. Dobbiamo poi tenere conto che ci sono altre entità di media potenza, come l’Iran, alcuni paesi arabi e la Russia, pronte a inserirsi in qualsiasi indebolimento della metropoli capitalistica centrale. Con la Cina che sorveglia dall’alto e muove nel sottosuolo più profondo della realtà geopolitica planetaria. Perciò Kim – o chi per lui – scruta con buona attenzione tutt’e sessantaquattro le caselle della scacchiera planetaria, giocando lucidamente la sua combinazione di mosse mozzafiato. Le recenti sanzioni approvate dall’Onu contro il Nord Corea tendono a limitare al massimo la sua possibilità di accumulare risorse economiche da destinare al potenziamento e perfezionamento del sistema d’arma nucleare. Sono colpiti tutti i suoi interscambi commerciali, bancari e valutari internazionali. Sanzioni che ha dovuto approvare anche la Cina, e che prevedono una restrizione di un miliardo di dollari annui, pari a un terzo delle entrate da esportazioni di Pyongyang. Già la Russia sì è però dichiarata contraria al loro mantenimento, perché intravede su questo punto una possibilità di mediazione sul quale giocare lei un ruolo strategico.

Certamente questo può costituire una soglia di compromesso che la Corea del Nord potrebbe realisticamente accettare. Solo transitoriamente, però, ossia per prendere tempo. Uno show down troppo ravvicinato, infatti, non le permetterebbe di approfondire e cogliere le contraddizioni e i punti di debolezza che si adopera di seminare nel centro di potere occidentale. E ha bisogno di più tempo anche per ergersi – davanti al mondo dei paesi poveri – come unica potenza in grado di sfidare chi li sfrutta. Perciò la sua azione non è affatto di natura contingente ma strutturale. È destinata a continuare. Inglobando in sé l’intero sistema mondo, l’Occidente ha inglobato nelle sue stesse viscere tutte l’ammasso di forze che – in diversi modi e su diversi fronti – ne minano la supremazia. Il nemico più temibile è diventato una parte interiore, costitutiva di sé stesso. Una parte ormai sempre meno classificabile come “periferica”. O l’Occidente centrale-metropolitano – attraverso un Piano Marshall Globale – estende anche alle sue zone depresse le condizioni politiche, sociali, economiche che hanno contraddistinto la sua evoluzione storica, o non ci sarà modo di mettere sotto la macchinetta di un barbiere i belli capelli di questo o di altri micidiali satrapi atomici. Gli usa faranno prima a rasare a zero quelli del loro “commander-in-chief”, ossia comandante in capo. In capo, sulla testa, appunto.

di Riccardo Tavani

 

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