Lo stupro di Rimini e la città violata.

Riviera romagnola: è agosto, ma sta per scadere. Due ragazzi polacchi e una trans peruviana  finiscono in ospedale a Rimini per aver incrociato un “branco” violento alle quattro del mattino sulla spiaggia di Rimini sud. Questa é in tre righe la cronaca di quel che é successo, ma il racconto dello “stupro di Rimini”, di quattro criminali allucinati che approfittano del buio per usare violenza su una coppia in cerca d’intimità tra gli ombrelloni chiusi, e poi su una trans che si prostituisce su strada, è stata gettata come benzina sul fuoco per alimentare la crescente ondata razzista che investe tutte le coste e l’entroterra della penisola italiana in questa lunga e calda estate numero 2017. Funzionale alle politiche razziste, la narrazione dello stupro di una ragazza sulla spiaggia prima e di una sulla strada poi, sembra avere come unico scopo quello di screditare lo straniero e le politiche di accoglienza proprio in una città, Rimini,  che dell’accoglienza allo straniero ha fatto la sua missione, e non solo economica.
Il distinguo operato dal linguaggio in questa narrazione non é casuale: interessa ai più che quattro “nordafricani” abbiano stuprato una polacca e una peruviana piuttosto che quattro “uomini” abbiano violentato due donne. E attraverso quelle donne abbiano fatto male al corpo di una intera città. Perché tutto a Rimini si basa sul corpo: il corpo da mostrare in spiaggia, il corpo da nutrire, il corpo da cercare, il corpo da amare.
Chi avesse la pazienza di scrollarsi la sabbia di dosso, indossare un abbigliamento consono alla bellezza del Rinascimento ed entrare nel tempio malatestiano, il duomo di Rimini, vedrebbe ovunque una S e una I incrociate, ripetute quasi ossessivamente in bassorilievo: Sigismondo e Isotta. È come se l’intero edificio fosse stato concepito da Sigismondo Malatesta signore di Rimini per celebrare in eterno il suo amore con Isotta degli Atti.
Perchè Rimini è capace di suggerire l’amore ovunque, non solo sulla spiaggia. Città attenta, dall’aria familiare, Rimini non manca di rispetto: ci tiene, ai suoi turisti. È anche nelle forme di accoglienza che si declina l’amore.  D’inverno conta meno di 150.000 abitanti, d’estate è abitata da un milione di persone: si allarga e si contrae come in acqua una medusa, da anni, ogni anno. E tutto “in stagione”  deve  funzionare, perché Rimini ha fatto dell’accoglienza allo straniero la sua missione, e non solo economica.

Rimini è la vocazione all’accoglienza portata all’ennesima potenza.
Rimini del  bagno 14, terza fila: sapore di Amarcord, di cinema  e sale, sotto l’ombrellone che era il posto fisso di Maddalena, la sorella di Fellini.
Rimini delle spiagge satinate, all’alba, d’inverno, con l’uomo a cavallo che sotto il cielo grigio fa battere gli zoccoli sulla linea a festoni del bagnasciuga, e viene da chissà da dove, e chissà dove va.
Rimini di Arturo Zaghini, gestore dello stabilimento, presente anche a gennaio, che guarda la sabbia gelata e fiuta il Garbino, l’unico vento che abbia un nome in riviera, e dall’odore salmastro dell’aria sembra trarre gli auspici dell’estate a venire.
Rimini e la primavera brillante di vernice fresca sulle casette di legno un po’ stanche e un po’ stinte da mesi di salsedine.
Rimini delle moltitudini sdraiate sui lettini, popolare nel pesce azzurro ( se ne pesca tanto e costa poco) e nei sapori schietti di pianura.
Rimini dei biliardini sottovento, dietro i bar della spiaggia, presidiati da bambini dorati dal sole.
Rimini della Madonna delle Grazie sul colle a Covignano, col suo tempo fermo, raccolto, che non passa mai,  a due passi da quello che fu il Bandiera Gialla, dove  il tempo -ballando- poteva anche volare.
Rimini e le sue tante anime: quella trasgressiva dei locali notturni, quella gioviale delle pensioni familiari e quella signorile di piazza Cavour con la fontana della pigna. Rimini è il risultato di due città: la città vecchia ha ideato la città nuova, stagionale, che accoglie per periodi di tempo ristretti migrazioni di cittadini di altre città e di altre nazioni, masse di turisti e masse di lavoratori stagionali che arrivano in cerca di fortuna.

Il tassello che manca nella narrazione dello stupro di Rimini é che tutte le comunità, per funzionare bene ad ogni stagione, devono essere basate sul rispetto di sé e dell’altro: l’accoglienza non é frutto del caso, non nasce dall’oggi al domani: è un esercizio di costruzione, che costa fatica, studio, tempo. Manca, nel racconto dello stupro, la parte onesta della comunicazione, il linguaggio corretto, l’atteggiamento non ostile. L’intolleranza, l’odio senza riserve, il gusto di fare la guerra, di avvilire, di punire, non salvano dalla violenza i più deboli e soprattutto non salvano mai le donne al buio, di notte.

di Daniela Baroncini

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