Luciano Rivera: il coraggio di liberare la propria terra

Madrugada. La chiamano così l’alba in Messico, quando la notte lascia spazio ad un nuovo giorno. Il momento della giornata che ha il sapore di inizio, di principio, di vita. I primi bagliori del 31 luglio, Luciano Rivera, reporter messicano assassinato nella Bassa California, non li ha visti. E come lui tanti altri che hanno scelto di lottare contro quelle realtà che attanagliano il Sud America.

E’ andata così: Luciano è in un bar, “La Antigua”, tra viale Benito Juàrez e via Guadalupe Victoria, nella località turistica Playas de Rosarito. Al confine tra il paradiso e l’inferno, tra Stati Uniti e Messico. Cinque uomini entrano ed iniziano ad infastidire delle donne. Luciano interviene, allora uno di loro tira fuori una pistola e lo “mata”. Gli spara in pieno volto un proiettile con una calibro 9. Gli esecutori si dileguano, il bar si svuota e il corpo di Luciano rimane lì. Una telecamera a circuito chiuso riprende tutto.

Poco dopo vengono avviate le indagini che al momento hanno portato al fermo di tre persone sospette e al sequestro dell’arma. Fonti di stampa locali ipotizzano che la pistola dell’omicidio Rivera sia la stessa utilizzata in altre tre azioni legate al commercio di droga a Tijuana, città-paradiso della trasgressione.

I giornali locali svelano anche l’identità del solo uomo arrestato fin’ora: si tratta di un tassista, Alfredo P. C., sul quale pende un’accusa per reato di omicidio aggravato in concorso con altri, che ad oggi risultano ancora fuggitivi. Il tassista ha giocato un ruolo cruciale: non si è limitato a portare i cinque uomini al locale, ma deve averli anche aspettati perché è sempre lui a caricarli in macchina e lasciare che si dileguassero prima dell’arrivo della polizia.

Rivera è l’ottavo giornalista ucciso dall’inizio dell’anno. L’ennesimo che la stampa messicana si trova a commemorare: “Riposa in pace il nostro amico Luciano, a nome di coloro che lavorano nella Cnr Tv”. Ogni giorno Rivera raccontava, sempre pronto lì sul posto e in collegamento con la sua redazione, la quotidianità del suo paese, ed era anche direttore della rivista “Dictamen”.

Sebbene le autorità non si sbilancino nel collegare l’omicidio al lavoro di Luciano come giornalista, Rivera si aggiunge ad una lista che vede già la morte di Cecilio Pineda, Ricardo Monluì, Miroslava Breach, Maximinio Rodriguez, Javier Valdez, Jonathan Rodriguez e, il più recente, Salvador Adame, direttore di un canale televisivo nella regione del Michoachàn, regno di violenza, droga e omicidi.
Dal 2000 ad oggi, stando ai dati ufficiali, in Messico sono stati uccisi 126 giornalisti, 20 risultano scomparsi e 51 hanno dichiarato di essere stati vittime di attentati. Senza considerare che qualsiasi statistica non conteggia quanti vengono torturati o sono stati costretti all’esilio. Alcune forme di giornalismo sono spesso sinonimo di coraggio, ma scegliere di esercitarle, ogni giorno, in diretta dai peggiori luoghi della Terra, lo è ancora di più

di Irene Tinero

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