Piazza Indipendenza: solo la violenza risveglia l’indignazione sopita

L’Italia con lo sgombero di Piazza Indipendenza ha fatto una figuraccia a livello internazionale. Ha sparato con gli idranti letteralmente in faccia ai rifugiati. E non durante lo sgombero dello stabile, svoltosi in relativa tranquillità, ma allo sgombero del presidio adibito un po’ come forma di resistenza, un po’ perché c’era veramente chi non poteva usufruire di una rete di amici e parenti a cui chiedere ospitalità. Insomma, la polizia le ha suonate ai rifugiati, allo sgombero dello sgombero, mentre la gente raccoglieva le proprie cose. Una donna è finita in ospedale, abbiamo la foto dell’idrante sparatole in faccia, e in un video girato ore dopo nella vicinissima Piazza dei Cinquecento, mentre degli agenti rincorrevano i rifugiati, è distintamente udibile la voce di un poliziotto che ordina di “spaccargli le braccia” se necessario. Che figura ci volevamo fare?

Lo sgombero di Via Curtatone è riuscito però, con la sua violenza a danno di una comunità rifugiata radicata sul territorio come quelle eritrea intorno a Piazza Indipendenza, dove gli altri due vigliacchi sgomberi dell’estate romana avevano fallito. In Via di Vannina, nella zona Est di Roma, sulla Tiburtina, l’8 giugno scorso sono stati sgomberati, senza preavviso e a suon di manganellate, 500 migranti, molti con documenti, incluse alcune famiglie con bambini. Il risultato? Si sono spostati nell’immobile accanto, ancora più pericolante del primo, con un insistente odore di gas all’interno, ma soprattutto di proprietà del Comune di Roma, che si finge sordo all’incessante squittìo notturno proveniente dalla montagna, non figurata, di immondizia, risalente in buona parte al giorno dello sgombero e mai smaltita, che troneggia fuori dall’edificio senza acqua né servizi igienici che è casa di questi disperati. Il 10 agosto, invece, in via di Quintavalle, a Cinecittà, circa 100 famiglie italiane e straniere sono state sgomberate dall’ex palazzo dell’INPS. Di soluzioni alternative nemmeno l’ombra e a distanza di 20 giorni molte famiglie dormono ancora accampate sotto il porticato della Basilica dei Santi XII Apostoli, autorizzate dal parroco. Vuoi per l’invisibilità da una parte degli occupanti, dall’altra di un dramma sociale che si consuma il 10 di agosto in una Roma mezza addormentata, mezza svuotata, questi due sgomberi non sono riusciti a portare alla ribalta (del circo mediatico?) due temi. Il primo, la totale inadeguatezza delle misure di integrazione a favore dei rifugiati che al momento consistono in 6 mesi di residenza in uno SPRAR e poi in pasto ai lupi, con un italiano, se non assente, zoppicante, e un percorso di integrazione lavorativa spesso più inconsistente di un miraggio, con il risultato che a Roma abbiamo circa 3000 rifugiati occupanti, a cui si aggiungono coloro che dormono in soluzioni di fortuna o per strada, per un totale di 9000 tra rifugiati e richiedenti asilo. Il secondo tema, questi stramaledetti sgomberi senza soluzioni alternative, che lasciano per strada un sacco di gente e le fanno anche perdere il lavoro se lo hanno – provate a tenerne uno mentre vivete in un’aiuola – oltre che a mettere a rischio l’accesso alla scuola per i bambini – riprendere la scuola dopo che non vi hanno fatto recuperare nemmeno libri e cartella da casa sgomberata, anyone?

Adesso i riflettori sono accesi. Il successo della partecipatissima manifestazione del 26 agosto, il presidio di Piazza Venezia allestito dagli eritrei sgomberati e gli attivisti solidali che mantengono alta l’attenzione, continuano ad infondere nuova energia, mentre il tavolo di oggi (30 agosto) tra Comune, Regione e Prefettura si è concluso in un nulla di fatto. Domani (oggi ndr) in mattinata al Viminale è previsto un incontro tra il Ministro degli Interni Marco Minniti e la Sindaca di Roma Virginia Raggi, la cui assenza politica è apparsa senza dubbio come la più assordante durante tutti gli sgomberi. Il rischio è che si approfitti del fisiologico calo di attenzione mediatica per abbandonare per strada gli sgomberati, ma con un po’ di fortuna e tanta bravura da parte della comunità eritrea e degli attivisti è forse possibile superare settembre ed infiammare l’autunno romano reclamando delle politiche dell’abitare degne di questo nome.

di Giulia Montefiore

Print Friendly, PDF & Email