Dove sta Zazà?

“Dimenticarti è davvero impossibile, tesoro mio. Nessuno dei romani che conosco baratterebbe il tuo ricordo con il niente che gli resta. La tua voce è la nostra bussola, la certezza che questa è ancora casa nostra”
(Renato Zero)

È il 3 di aprile del 2004: la voce di Gabriella Ferri, la voce di Roma, si spegne all’improvviso a Corchiano, un paesino defilato del Viterbese dove l’artista abita da due anni in una casa alta sulle pareti di tufo, col balcone sbalzato sul bosco, sul silenzio, sul torrente. Poco prima di morire qualcuno la scorge sul balcone, ma nessuno la vede cadere. Gabriella vola via senza lasciare una riga, un indizio, senza un presagio, un come, un perché. “Ci sono cose chiuse tra i muri che, se potessero uscire per strada e gridare, riempirebbero il mondo”. E Gabriella tante ne aveva dette, di cose, tante ne aveva cantate. Dai muri di ogni casa del Testaccio, al suo funerale, esce la sua voce. Ogni persiana è aperta, ogni finestra manda una sua canzone. Roma la saluta a modo suo.

Dove sta Zazà?
Gabriella era una che a volte scompariva e non si sapeva perché. Dal cuore più vivo della Capitale, da Campo de’ Fiori, alla provincia più defilata, con tutto il dolore della desolazione che possono avere certi luoghi marginali, gli ultimi anni della sua vita Gabriella Ferri li ha trascorsi lontana dal mondo, come chi ha già consumato le stelle, sfiorito i mattini.
Ogni tanto qualcuno del paese la incontrava per strada: “Una persona educata, non si vedeva molto in giro”. Da tanto rumore a tanto silenzio. Gabriella, nel ricordo di Leo Gullotta, era una che parlava alle anime. E scriveva, scriveva tanto: ha lasciato una valigia intera di appunti. “Sono le tre della notte, non riesco a dormire, non riesco a interrompere i pensieri, sono triste, l’attesa di un po’ di luce è lacerante…”
Il 18 settembre di quest’anno Gabriella Ferri avrebbe festeggiato i suoi 75 anni. Gabriella…e chi se la scorda più? Per Federico Fellini era “una voce, una faccia, un clown”. Per tutto il resto del mondo Gabriella Ferri era Roma: ogni nota, ogni strofa, ogni azzardo della sua voce erano dichiarazioni d’amore per la sua città, come un film di Ettore Scola, come un panorama dal Gianicolo, come un sonetto di Gioacchino Belli. “Piango troppo e rido troppo”, diceva di sè. “Quando mi dicono brava è perché offro il brivido della mia disperazione.” Gabriella era un groviglio di sensazioni: gioia, forza, disperazione, infelicità; assolutamente in balìa delle proprie emozioni, era una che si mangiava la vita a morsi.
“Napoli, Hotel Excelsior 1997. Fatico a vendere la mia arte, a far diventare merce questa mia emozione e questa mia fatica di vivere”
Alternava momenti di grande trionfo con altrettanti momenti di buio, incapace di nascondere il suo straordinario talento e la sua fragilità
“Ognuno è cantastorie, tante facce nella memoria, tanto di tutto, tanto di niente, le parole di tanta gente. Tanto buio, tanto colore, tanta noia, tanto amore; tante sciocchezze, tante passioni, tanto silenzio, tante canzoni”. Originalità, conoscenza delle proprie radici e autentico anticonformismo: erano queste le tante facce di Gabriella Ferri, che ha scritto, dipinto, cantato. Ha sdoganato la cultura romana e l’ha portata fuori le mura, fino in capo al mondo. Una donna autodidatta, versatile, inimitabile, dolente, tanta e vera. Cantava volentieri una canzone scritta da Pasolini (Pasolini le piaceva molto) che per molti di quelli che l’hanno conosciuta è la canzone che più la rappresenta: storia di un’ebbrezza, racconto di una donna che per dimenticare la vita che fa, una sera beve un bicchiere di più e riesce a strappare ai giorni sempre uguali un’allegria disperata e il coraggio di riassaporare una bellezza e un candore ormai perduto.
An vedi le foje!
An vedi la luna!
An vedi le case!
E chi l’ha mai viste co’ st’occhi?
Me viè da cantà.
Accogliente, generosa, ma anche faticosa, complicata, Gabriella Ferri ha affrontato la vita senza mezze misure. È stata molto amata e forse non ha fatto in tempo a capire quanto. “Ho la testa confusa -diceva- Ci metterò un fiore”

di Daniela Baroncini

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