Sally è già stata punita.

Miki ha quarant’anni da ieri. Per tutti è una donna “normale”. Normale nel senso che di difficile non ha proprio niente. Cucina, ascolta musica, lava, stira e pulisce casa senza fare tante storie. Ha un nome facile da dire, facile da scrivere, ha gli occhi lunghi su un sorriso aperto, facile da ricordare. Guida l’automobile, si alza presto la mattina, cresce figli, che sono tanti: i suoi e quelli del suo nuovo compagno. Non si colora il viso né i capelli, non è più appariscente o provocante di tante altre donne. Sa leggere, scrivere e far di conto. Perde un paio di accendini al giorno, non mangia patatine fritte (non le piacciono) eppure -dentro- ha un buonumore croccante che fa invidia. Solo di rado lo sguardo le scappa lontano a rincorre un pensiero che se ne va.

Miki è morbida, mora, mediterranea, una come mille altre se la guardi in faccia. Di spalle, invece, è una donna diversa. Dietro ha un tatuaggio che le attraversa la schiena, una frase come un ricamo di inchiostro sulla pelle, il verso di una canzone scritto troppo in grande:

“Sally è già stata punita”.

Più che un tatuaggio sembra la cicatrice di una ferita che fuori non ha lasciato traccia, ma dentro ancora non si è rimarginata; il segno indelebile di una brutta storia, una di quelle storie che bisognerebbe lasciarsi alle spalle, ma è sempre meglio non dimenticare mai. Suona come un avvertimento per chi si avvicina troppo: “Sally è già stata punita”

Miki ha avuto un amore.

L’amore, per definizione, ha vita breve. La relazione amorosa alla lunga è una faticosa costruzione, serve a far rivivere quel poco di scintilla iniziale che ha fatto accendere il fuoco. L’amore è un lavoro che da soli non si può fare. Bisogna essere in due, in compagnia l’uno dell’altro. Il compagno di Miki col tempo si è rivelato un uomo violento, poco adatto alla costruzione di una coppia, le ha fatto passare anni sempre meno felici e momenti sempre più complicati: prima le ha procurato la rottura di un timpano, poi di due costole e alla fine della milza: “trauma violento”; per due giorni Miki è rimasta in coma. Ha sopportato l’impossibile, ma da quando ha rischiato la vita ha deciso di lasciarlo.

Gli uomini picchiano le donne fino a farle morire. In Italia negli ultimi 5 anni 700 donne sono state uccise dai loro compagni, più dei morti per terrorismo in Europa. Le vittime di stupro ammontano a 653mila. In Italia sono oltre 8,3 milioni le donne vittime di violenza psicologica. Lo riferisce l’Istat, secondo cui 4,5 milioni di italiane hanno subito, nell’arco della propria vita, atti sessuali degradanti e umilianti, rapporti non desiderati e subiti come violenza, abusi o molestie fisiche sessuali gravi. Il 20,2% delle donne tra i 16 e i 70 anni è stata vittima di violenza fisica, minacce, schiaffi, pugni, calci. Milioni di donne, troppe per credere che siano tutte persone “deboli”, che semplicemente non abbiano coraggio di denunciare, di andarsene via. Molte di loro sperimentano, al contrario, il coraggio di resistere. Per i figli, per i soldi, per catene culturali. Perché uscire da una storia violenta, sbagliata, non è facile come si racconta. Bisogna trovarcisi ad aver vergogna, ad ascoltare la voce della coscienza, ad essere vittime consapevoli, piene di lividi ma anche di rimorsi (per non aver capito in tempo, per non essere riuscite a trovare un lavoro, per aver messo al mondo dei figli da sfamare coi soldi di un uomo manesco). Bisogna trovarcisi -con l’impressione di avere sempre torto- a sperimentare “l’equilibrio sopra la follia”.

Miki se n’è andata di casa, è uscita dall’inferno, solo quando la paura di morire e di lasciare i figli orfani ha superato la paura dei traumi, degli ospedali e della sofferenza. Non è stata l’audacia a salvarla, è stato il terrore.

Per fermare la violenza bisogna educare gli uomini ad essere uomini migliori. Non si può chiedere alle donne una dose di coraggio in più, un’altra ancora: “Sally è già stata punita”

di Daniela Baroncini

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