Le ombre della cooperazione UE in Africa

Dal 2015, ovvero da quando i flussi migratori si intensificarono, l’UE ha cambiato radicalmente il suo approccio alla questione. Quella che era un’opportunità divenne un problema. Più che dai numeri reali, la svolta è stata dettata da una paura elettorale. E da allora il mantra è diventato quello di aiutarli a casa loro. La casa della maggior parte dei migranti che arrivano in Italia è l’Africa. Ma aldilà delle parole, cosa fa realmente l’UE per risolvere il problema alla radice? Niente di davvero efficace, almeno leggendo il rapporto dell’Ong Global Health Advocates sul Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa.

Dal rapporto, che si basa su interviste condotte in Niger, Senegal e Bruxelles, è chiaro come il Fondo operi da strumento politico a servizio delle esigenze europee, più che con finalità di sviluppo. Difatti, le regioni di partenza o di transito dei migranti hanno la priorità su zone maggiormente bisognose. Nessun bando pubblico per i progetti è stato condotto, e la rendicontazione dei risultati quando c’è è opaca. Manca anche una coordinazione con gli altri progetti finanziati dall’UE o dai singoli accordi bilaterali degli Stati membri.

Si spostano i fondi verso il rafforzamento dei sistemi di sicurezza nazionali. Quello che conta è bloccare i flussi migratori. Soprattutto, comunicare i risultati in maniera veloce. La velocità di consegna dei risultati è anche una discriminante fondamentale nella scelta dei progetti.

Però, secondo il rapporto, l’approccio è controproducente da una prospettiva sia politica che di sviluppo. Infatti, lo sviluppo spesso non frena la migrazione, anzi, può persino aumentarla. La scelta di partire lasciando la propria casa è una scelta costosa. I più poveri, che sono il primo obiettivo dei programmi di sviluppo, non sono coloro che emigrano.

D’altra parte, bloccare la migrazione può portare squilibri molto gravi, soprattutto considerando che la migrazione maggiore è quella interna dell’Africa. Migrare è un fattore di sviluppo. Le rimesse, cioè i soldi che i migranti inviano nel paese di origine, costituiscono un importante contributo per quei paesi. Esistono, poi, i fenomeni di migrazione temporanea dovute a siccità cicliche che spingono molti lavoratori a spostarsi nelle regioni vicine.

La Global Healt Advocates invita l’Unione Europea a non rifinanziare il Fondo fino a quando non ne venga riconsiderato l’impianto, riconoscendo la necessità di soluzioni di lungo periodo. Soluzioni che devono venir fuori da un analisi approfondita e, soprattutto, contestuale, che vuol dire incrementare il coinvolgimento dei paesi Africani.

di Pierfrancesco Zinilli

 

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