Pier Paolo Pasolini: lo sguardo e la penna

Spesso anniversari e ricorrenze non aiutano a guardare avanti ma, anzi, relegano quanto vorrebbero ricordare nel passato. Alcune commemorazioni, però, ci spingono a interrogarci sui tempi che viviamo e a immaginare quelli che verranno.

Nella notte tra il primo e il due novembre del 1975 veniva ucciso Pier Paolo Pasolini. Un poeta “come ne nascono tre o quattro dentro un secolo”, secondo l’opinione dello scrittore Alberto Moravia.

La mattina del 2 novembre fu arrestato, mentre guidava un’auto rubata sul lungomare di Ostia, il diciassettenne Pino Pelosi. All’alba di quello stesso giorno, nei pressi dell’Idroscalo, fu ritrovato il corpo martoriato di Pier Paolo Pasolini.

Pelosi si accusò immediatamente del delitto e indicò,come movente, un tentato abuso sessuale.

Il caso era chiuso. La dissolutezza morale aveva condotto Pasolini verso la sua fine.

Ma i fatti hanno una loro persistenza, a volte sgradevole. Fin da subito furono suggerite motivazioni politiche dietro l’omicidio e vennero prodotte prove che mettevano in discussione la versione di Pelosi.

Le stesse dinamiche dell’omicidio indicavano che a uccidere Pasolini erano state più persone e che il movente non era certamente a sfondo sessuale anche se l’oltraggio portato al suo corpo trasudava di odio e fobia.

Oggi, a più di 40 anni da quel 2 novembre del 1975, non abbiamo risposte e, pare, non abbiamo neppure domande.

Pasolini era un poeta, certo, era un regista e uno scrittore ma, soprattutto, era il tipo d’intellettuale che vive immerso nel suo tempo e che “cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero».

Pasolini aveva lo sguardo e aveva la penna. Leggeva il Paese e non perdeva occasione per denunciare il potere. Nei suoi editoriali sul Corriere della Sera aveva messo in guardia dal consumismo sfrenato. Denunciato le connivenze della Democrazia Cristiana, il partito stato, con la mafia. Anticipato di quindici anni i temi della corruzione politica che sarebbero esplosi con Tangentopoli. Sostenuto che la DC fosse colpevole di associazione con il terrorismo neofascista responsabile della stagione stragista che aveva, ed avrebbe ancora, insanguinato l’Italia.

E’qui, in questo intreccio oscuro della nostra storia, che si inserisce il delitto Pasolini. Pagine nere che aborriscono la luce.

Trame e connessioni opache continuano ad essere tessute. La capacità di comprenderle e la volontà di svelarle invece latita. Ecco, la ricorrenza dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini ha il potere di farci avvertire l’assenza di quello sguardo, dell’uomo che vive, sente, studia il suo tempo e, senza timore, lo mette in piazza per superarlo.

Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine”.

di Enrico Ceci

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