Il cielo di fuoco e gelo dell’ottobre rivoluzionario russo

Nel 1917 in Russia vigeva ancora il Calendario Giuliano, ossia quello promulgato a Roma da Giulio Cesare nel 46 avanti Cristo. Per questo l’insurrezione scoppiata a Pietrogrado si chiamò “Rivoluzione d’ottobre”. In realtà, il 24 e il 25 ottobre, erano, il 6 e il 7 novembre, secondo il Calendario Gregoriano – quello riformato nel 1582 da Papa Gregorio XII –, adottato poi da quasi tutti i paesi europei. Pietrogrado è San Pietroburgo, il cui nome è stato cambiato dallo zar Nicola II all’inizio della Prima Guerra Mondiale, perché il suffisso “burg” (città) sa troppo di tedesco, mentre “grad” è orgogliosamente russo. Vladimir Il’ič Ul’janov, detto popolarmente Lenin, è la fulminea aquila strategica di quell’insurrezione. Per questo anche il nome di Pietrogrado muta nel 1924 in quello di Leningrado. E ancora oggi – dopo aver ripreso nel 1991 il suo nome originario di San Pietroburgo – per una volta l’anno torna a chiamarsi con il nome di Lenin, per l’eroica resistenza opposta nel 1943 alla Germania nazista.

Lenin rientra a Pietrogrado dall’esilio svizzero subito dopo la “Rivoluzione di febbraio” (8-12 marzo del ’17) che depone lo zar Nicola II e mette fine alla dinastia dei Romanov. La sua visione coglie immediatamente e alla radice il senso grandioso della storia che scorre tumultuosamente e caoticamente in quei giorni in Russia, imprimendo ai fatti stessi un’accelerazione vertiginosa. La primavera già inoltrata e l’estate gli sono sufficienti per portare il suo Partito Bolscevico sulla linea insurrezionale e a prendere la maggioranza dentro i Soviet della città. I Soviet sono Consigli operai che nascono clandestinamente sul finire dell’800 nelle fabbriche come comitati di sciopero. Nicola II nel 1905 ne tenta vanamente l’istituzionalizzazione, attraverso la partecipazione di funzionari e industriali. Tentativo che fallisce, tanto da condurre a quella radicalizzazione della ribellione operaia che va sotto il nome di “Rivoluzione del 1905” e che ha il suo episodio culminante nella “Domenica di sangue”, (9 gennaio giuliano), con migliaia di morti e feriti tra la folla infuriata presa a fucilate dai Reggimenti Preobraženskij e Semënovskij.

Contro entrambi questi due precedenti – quasi degli “antipasti” della grande rivoluzione d’ottobre – si erge sempre l’inespugnabile Palazzo d’Inverno, residenza degli Zar, costruito tra il 1754 e 1762 su progetto dell’architetto italiano Bartolomeo Rastrelli. Ecco, il 7 novembre 1917 l’insurrezione bolscevica vi penetra dentro come una lama nel burro. Questo proprio grazie all’egemonia che Lenin consegue dentro i Soviet della città, fino a quello di operai e marinai a bordo dell’incrociatore che spara il colpo di cannone che dà il via alla rivoluzione. Il mitico incrociatore “Aurora” che aveva portato aiuto alle popolazioni di Messina e Reggio Calabria, colpite dal terremoto del 1908. Il cuore, ossia il Congresso dei Soviet è stabilito dentro l’Istituto Smol’nyj, un elegante edificio palladiano commissionato dalla Società delle Nobili Fanciulle al pittore e architetto italiano Giacomo Quarenghi, e costruito tra il 1804 e il 1808. Dentro quel cuore, Lenin stabilisce il proprio quartier generale e la sua stessa residenza: due cuori che pulsano insieme, almeno fino a che il governo nazionale non è trasferito definitivamente a Mosca, tra le cupole dorate e le torri rosse del Cremlino.

Se si vuole però toccare ancora oggi con mano la febbre viva dei fatti e lo spirito incandescente che avvolgono quei giorni rivoluzionari dell’ottobre russo, bisogna tuffarsi tra le pagine del magico libro di John Reed “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”. Reed è un giornalista americano che aveva già scritto un libro sulla rivoluzione messicana, ma non appena giunto a San Pietroburgo intuisce immediatamente che si trova al centro di un evento storico dalle dimensioni colossali. Stabilisce anche lui il suo osservatorio dentro lo Smol’nyj, dove ascolta per la prima volta un discorso di Lenin e sente davvero quel cuore battere insieme a quello degli operai, dei soldati, dei contadini. I soviet sono la nuova costellazione astrale che splende sotto il cielo autunnale di Russia e Lenin è il suo oggetto astrale più splendente. Lo sguardo, la sua scrittura di John Reed sono sciarre di lava incandescente che scorrono dai viali, dai lungofiume, dai tram della città fino alla sua penna e sulla carta. Non solo alla superficie, però, ma nei sotterranei delle fusioni o delle collisioni di visione, di pensiero, di azione politica e di potere che rimbalzano e rimbombano drammaticamente dai corridoi, dal salone assembleare, giù fino alle sponde del fiume Neva e sulla Prospettiva Nevskij.

È lo stesso fuoco che scende dentro i meandri delle scienze e delle arti, proiettandole dinamicamente verso confini mai esplorati prima. Il cinema che è appena nato, diviene immediatamente immenso con Dziga Vertov e il suo “cineocchio”, Sergei Eisestein, con il montaggio dialettico e delle attrarzioni. “Tre canti su Lenin” del primo e “Sciopero!”, “La corrazzata Potëmkin” e “Ottobre” del secondo sono pagine poderose della storia del primo cinema mondiale. Poi il futurismo poetico di Vladimir Majakovskij, il suprematismo pittorico di Kazimir Malevich che dipinge lo sconvolgente “Quadrato Nero”, come “grado zero della pittura” che si lancia verso il futuro, sprofondando le sue radici nell’ancestrale tradizione contadina delle icone. Sulla parola d’ordine lanciata da Lenin “Soviet ed elettrificazione”, sorgono migliaia di nuovi istituti di ricerca scientifica – pura e applicata – in ogni campo, dalla fisica, alla genetica, alla psicologia e pedagogia, dove spicca la grandiosa figura teorica di Lev Vygotsky, chiamato il “Mozart della psicologia”.

Quando il fulgore stellare espansivo descritto da John Reed comincia a ritrarsi – anche per la guerra civile e una carestia che immediatamente seguono – sono proprio queste prestigiose figure le prime a essere fatte fuori, con accanita spietatezza e stolidezza repressiva. Una sanguinosa falcidia, una strage degli spiriti più geniali e sensibili della cultura russa in ogni campo, insieme all’eliminazione sistematica, alle purghe di partito e di Stato di tutti gli oppositori interni, molti dei quali erano anche stati tra i più eroici protagonisti d’Ottobre. È come se quella rivoluzione fosse davvero durata solo dieci giorni e alla fine simbolica di quello stesso autunno fosse precipitata dentro una buia glaciazione che ha mietuto milioni di intelligenze, corpi e speranze senza alcuna possibilità di scampo. Come quella di Karl Marx è l’ultima grande teoria filosofica che tenta una sintesi razionale-universale della realtà, così quella d’Ottobre è l’ultima sua grandiosa scaturigine nella prassi politica umana che ha cercato di rivoluzionare il corso della storia e del mondo.

Noi continueremo a vedere il suo bagliore intenso nel cielo della nostra civiltà, come una di quelle immense stelle collassate la cui luce continua a percorrere gli spazi profondi dell’universo fisico e di senso. E forse anche dopo che l’attuale civiltà sarà definitivamente tramontata, quel fulgore seguiterà ad apparirci come una mitologica costellazione dall’ineffabile chiarore astrale.

di Riccardo Tavani

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