Occupare per resistere…

Contro i tagli annunciati, gli operai occupano l’ILVA di Genova

A volte il tempo sembra scorrere all’indietro, quando rivedi scene di vita già vissute, immagini che credevi di aver lasciato indietro. Ma non sempre si tratta di un dejà vu, di una sensazione passeggera; talvolta non è che la storia che si ripete, poiché il vissuto di anni addietro ritorna nel vivere di oggi. Accade così che l’imprenditoria moderna, fatta di cordate globalizzate e la nuova legislazione sul lavoro, fatta di “tutele crescenti”, s’incontrino e ci riportino indietro agli anni ’60, quando non c’era l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori e quando, contro il prospetto di licenziamenti deciso dal padrone, gli operai occupavano le fabbriche, per difendere il diritto al lavoro e ad un trattamento dignitoso.

E’ quello che è successo all’ILVA di Genova-Cornigliano, dove l’assemblea dei lavoratori ha deciso di occupare lo stabilimento, per protestare contro le decisioni della nuova proprietà -la Am Invest co.- per tagli al personale, nel suo nuovo piano industriale, ritenendo insufficiente il ruolo di garanzia del Governo, nella trattativa.

La FIOM-CGIL ha negato la sua presenza all’incontro presso il Ministero per lo Sviluppo Economico, in cui la cordata Arcelor Mittal/Marcegaglia intendeva portare avanti il suo piano industriale fatto di 4000 licenziamenti (di cui solo 600, sui 1498 dipendenti, a Genova) e di mancato rispetto delle tutele definite dagli accordi precedenti del 2005, attraverso lo strumento di licenziamento e riassunzione, che espone i dipendenti superstiti alle insidie delle “tutele crescenti” del jobs act. Persino il Ministro Calenda ha definito “irricevibile” una simile proposta, stoppando la trattativa, affermando che i lavoratori vadano comunque tutelati. Ma per gli operai e la FIOM, il sindacato più rappresentativo della fabbrica, date le premesse datoriali non c’è margine nemmeno per iniziare gli incontri.

La forzatura dell’occupazione è fortemente contestata dalla UILM-UIL e criticata dalla FIM-CISL, disposte a sedersi al tavolo dei padroni, ricacciando l’azione di lotta decisa dall’assemblea degli operai, come una sterile pantomima tipica della CGIL. Anche il Ministero critica la presa di posizione della FIOM, per il suo inficiare un confronto con la proprietà che avrebbe dovuto definire il piano industriale minuziosamente (reparto per reparto) e che in questo modo rischierebbe di mettere a repentaglio la trattativa nazionale per l’intera ILVA, che ha sul piatto della bilancia ben 5,3 miliardi di euro, tra investimenti (industriali e ambientali) e rimborso ai creditori.

Ma se la politica e l’imprenditoria possono concedersi il lusso di parlare in modo spersonalizzato di tagli al personale, dall’alto dei loro inavvicinabili uffici, gli operai, su cui ricadono singolarmente le conseguenze del perdere il lavoro, non possono certo permetterselo. Ecco che si torna come un tempo ad occupare la fabbrica, che si bloccano le strade per sensibilizzare i cittadini e per chiedere la loro solidarietà. A questo punto, se non si difetta di memoria e si commettono gli stessi errori di un tempo, per completare il ritorno al passato, non resterebbe che una nuova assurda stagione di tensione, di contrapposizione e di lotta armata. Con quest’ultima non resterebbe che la devianza dei servizi segreti e dello stragismo, per completare il remake degli anni di piombo. E, a quanto si è visto ad Ostia, la militanza neofascista si sta già preparando…

di Mario Guido Faloci

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