Ursula Vaniglia Orelli: l’ALTALENA. Storia di un’anoressia

Di Ursula conosco sola la voce, con lei non ci siamo mai visti. Qualche messaggio e solo telefonate per fissare il giorno dell’intervista.

Erano i primi di dicembre. Una mattina soleggiata e arrivai molto prima dell’orario prefissato. L’appuntamento era alle tredici a piazza Montecitorio, alle undici ero già a piazza del Popolo. Roma è bellissima in qualunque mese dell’anno. Era presto, così decisi di godermi quel palcoscenico unico al mondo. Mi sedetti sotto l’obelisco, proprio accanto ad una delle quattro fontane sormontate dai leoni di marmo, dalla cui bocca esce un copioso zampillo d’acqua. Scelsi la posizione più soleggiata con le spalle al Pincio.

È bello vedere la gente che passa, fotografa, si abbraccia, si bacia. È bello vedere come le persone nelle loro diversità in quel palcoscenico messo a disposizione dalla storia, si amalgamano in una razza umana unica. E pensare che lì, in quella piazza, Mastro Titta il boia di Roma toglieva la vita per ordine del Papa. Già la vita, proprio il tema che dovrò toccare con Ursula. Quella vita che spesso si respinge quando scattano dei meccanismi mentali così complicati e ingestibili che lentamente portano allo spegnimento della persona. Con Ursula parleremo di anoressia e del suo ultimo libro “L’ALTALENA. Storia di un’anoressia”.

Aspetto e lo sguardo mi va su un piccione, non vola cammina, per nulla infastidito dalla gente, anzi è lui che obbliga le persone a spostarsi. A Roma i piccioni non volano, camminano è buffa questa cosa. Nel frattempo mi arriva un messaggio. È Ursula, anche lei in anticipo. Le dico dove mi trovo. Aspetto.

Non l’ho mai vista, ma il cellulare farà da cerca-persone. Infatti, poco dopo squilla, rispondo. “Ti vedo, ora arrivo”, e alzo gli occhi. Poco distante da me un’esile figura femminile con i capelli diversamente pettinati si stava avvicinando. Mi chiedo ancora come abbia fatto a sapere che ero io. Ci salutiamo e ci avviamo verso il luogo dell’intervista. Imboccando via del Corso a mo’ di girasoli cercando la luce del sole perché faceva freddino, ci scambiamo pensieri e impressioni sul vivere quotidiano.

Arrivammo all’altezza della galleria Alberto Sordi. Insieme guardammo dove fare l’intervista. Era intenzione farla a piazza Montecitorio. Ci accordammo con alcuni poliziotti, tra l’altro disponibili, per non avere problemi con le riprese, e a Ursula uscì la parola magica, “caffè?”.

Il bar della galleria Alberto Sordi era l’ideale per sederci a bere un caffè e iniziare a parlare preparandoci per l’intervista video. Un caffè io e un cappuccino Ursula, che però ordinò con varianti difficili da rammentare. Ma ricordo benissimo che quando arrivò la ragazza con le ordinazioni, lo sorseggiò è disse “è perfetto”. D’istinto con un gesto amichevole porse la mano alla ragazza del bar ma ella non corrispose. Un “vabbè” uscì senza imbarazzo dalla bocca di Ursula. Ci sono rimasto male io per lei. Considero il gesto di dare la mano come un gesto di completa apertura, che parla per noi… Credo che Ursula l’abbia fatto per congratularsi del cappuccino, nulla di più.

Andata via la ragazza del bar, iniziammo a parlare dell’intervista video e nel frattempo le feci delle domande.

La prima è stata la più classica, Chi è Ursula Vaniglia Orelli?

“Ursula è uno scrittore, al maschile, poiché per me è plurale misto, nel senso che non faccio differenza tra uomo e donna. Per me esistono esseri umani e basta che debbono rispettarsi vicendevolmente. Ursula Vaniglia Orelli è l’autrice de “L’ALTALENA. Storia di un’anoressia”. È un’ex anoressica anche se impropria come affermazione. È presidente di – SOLE NEL CUORE – associazione che combatte chi specula sui DCA (Disturbo del Comportamento Alimentare) e sui malati oncologi, e che sta lottando per il re-inserimento socio lavorativo di tali persone fragili. Ursula Vaniglia Orelli è la prima e unica delegata a livello nazionale, poiché non esiste delega simile, a cura e tutela degli interessi pubblici di carattere istituzionale in materia di “PROGETTI DI PREVENZIONE E RECUPERO SUI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE”, e soggetto fiduciario a intermediare le relazioni tra la popolazione e gli organi rappresentativi, sia centrali, sia periferici. Una delega chiesta a gran voce dalla sottoscritta e che il mio grande Sindaco di Cerveteri, Alessio Pascucci, mi ha concesso. Lo ringrazio con tutto il cuore poiché con questo atto, non solo è stato pionieristico, così com’è nella sua indole essere, ma di più, ha mostrato quella sensibilità, che dovrebbe avere la politica, di prendersi cura delle persone. E’ una delega importante e delicata che porterò avanti con coraggio, determinazione e orgoglio. Poi Ursula Vaniglia Orelli collabora con un’importante Ospedale romano. Inoltre sono Donna, mamma e moglie di un uomo splendido che non c’è più, ma che continua a esserci poiché in qualsiasi posto luminoso l’abbia preso a cura il mio Dio, guida ogni mio passo”.

Che cosa è l’anoressia e perché è improprio il termine ex anoressica?

“L’anoressia è definita dalla scienza grave psicopatologia appartenente ai DCA e dalle istituzioni malattia sociale. L’anoressia non è un capriccio, peso, moda o cibo. E’ un cancro che ti colpisce diritto l’anima. Essa fu il cancro che scelsi per punire e punirmi. L’arma che impugnai per recidere relazioni, emozioni, revocare antichi patti, così come ho scritto nel libro. Fu una scelta lucida, razionale, cinica oserei dire. I fatti narrati nel romanzo risalgono agli anni ‘90, nel ‘91 mi ammalai.

Il mio cuore era stato ferito mortalmente da volerne morire. Elessi l’anoressia, quest’ascesi a Dio, come unica fonte di vita in grado di proteggermi da un dolore troppo grande da sopportare. La mia anoressia era diventata tutto per me: padre, madre, la mia famiglia. Ebbi con la malattia un sentimento di attaccamento. Più la bramavo, più lei bramava me. E ci pose entrambe su un’altalena, dove io ero lei e lei era me. Iniziammo a dondolare insieme sempre più forte e quando diventammo una cosa sola, avevo raggiunto il mio obiettivo poiché ero diventata morta per la vita, troppo viva per la morte.

Ero stata vittima, poi carnefice del mio corpo violato. E arrivò il momento nel quale dovetti scegliere se diventare anche il salvatore di me stessa. A 22 kg si muore, e sarebbe stato certamente più facile. Non so cosa o chi, oltre ai medici che amorevolmente si presero cura di me in ospedale, intervenne, ma scelsi di ri-tornare alla vita.

Fu un lungo e dolorosissimo lavoro, un percorso fatto di lacrime e rabbia nei confronti della vita, degli uomini, dell’uomo che avevo amato sopra ogni cosa e che aveva distrutto la mia vita. Ma non mi fermai mai, mai mi voltai indietro, e ogni volta che cadevo, le ferite si riaprivano ma con coraggio mi rialzavo e affrontavo il dolore abbracciandolo. Solo in questo modo lo avrei superato, perché la scelta di tornare alla vita era più forte della scelta di morire. Nonostante ciò il cuore fu ferito altre volte mortalmente. Ebbi delle ricadute, un disturbo alimentare non è esente da recidive, anzi. Quando e perché non posso riferirlo poiché le motivazioni sono legate a delle cause ancora in corso”.

Di che cosa parla il libro?

“Parla di potere, di uno stupro su commissione e della mia scelta di morire anoressica”.

Che cosa pensi della violenza sulle donne?

“Una donna stuprata, violata nel corpo e nell’anima, nostra parte più fragile, non va dopo due giorni in televisione”. Ho già detto pubblicamente che aberro il termine femminicidio, coniato e strumentalizzato da troppi e spesso in modo non consono”.

Quali sono le armi in mano alla malattia?

“Il giudizio, la competizione, la paura del non abbastanza che da entrambe derivano, la vergogna, che alimenta la malattia lasciandoti in solitudine.

Io fui forse un “caso patologico a parte e da grande manuale” perché non ebbi mai vergogna della mia malattia, e un giorno mentre camminavo per recarmi a fare la psicoterapia, all’epoca non si parlava di anoressia e oggi se ne parla male, oltrepassai un gruppetto di persone, le sentii dire che ero una tossica. Un pugnale mi si conficcò nel cuore, un altro. Mi girai, mi diressi verso di loro e dissi con calma e determinazione – stronzo non sono tossica, solo anoressica ma a te non basterebbero sette vite per capire cos’ho”.

Qual è il ruolo dei genitori, dei medici e della società rispetto l’anoressia?

“Ci sono colpe o colpevoli? No, certamente ci sono responsabilità, non curanze. Un DCA non ha una struttura interna, è de-strutturato, e i medici, quelli giusti però, giacché ci sono intorno ai DCA molti cialtroni e speculatori, per non perdere il paziente, laddove fosse in pericolo di vita, o per non essere fallimentare il loro approccio terapeutico, devono co-partecipare alla terapia. Solo così il paziente ri-torna alla vita che la malattia ha negato”.

Che cosa pensi del dottor Lemme?

“Mi piacerebbe incontrarlo, anelo a questo giacché sostiene che con le sue pillole magiche cura anoressiche e bulimiche. Mi piacerebbe sul serio guardare in faccia questo signore che chiama donne in leggero sovrappeso “palla di lardo o grassona”. Mi domando come gli sia consentita tale mancanza di rispetto! La mia opinione su di lui è che è un povero zero, un niente umano. Solitamente non amo parlare del niente, ma molte ragazze mi hanno chiesto di intervenire per ammonirlo. Mi spiace solo che ci siano persone che lo seguano e che i media gli facciano così tanta pubblicità. Ma siamo in Italia…”.

Che cosa pensi dei siti pro ana, inneggiano all’anoressia?

“Chiariamo che non esistono solo i siti pro ana illegali, ma anche i siti pro mia (che inneggiano alla bulimia). Ho passato anni e notti della mia vita cercando di strappare le ragazze da questi siti. Con denunce alla Polizia Postale molti sono stati chiusi, ma ne chiude uno e ne aprono dieci. Questo è il rapporto. Gli amministratori sono solitamente altre ragazze malate, ma pensate ci sono anche uomini e medici senza scrupoli che, sotto mentite spoglie femminili, smerciano pillole inibitrici della fame. Molte ragazze le ho fatte togliere da quei siti. Le ragazze si fidano di me. Conosco il linguaggio della malattia, sono quella che ha vinto la morte. Sono una di loro. Sono fieramente una di loro. E questo lo percepiscono. Anzi ti dico di più: sono fiera di aver subito fin quasi a morirne una malattia come l’anoressia, poiché mi ha permesso di diventare la donna che sono oggi. Ma lo schifo non è solo sul web. Anche nelle strutture residenziali accadono cose che non dovrebbero accadere. Una ragazza ricoverata in una struttura del nord, accorata, mi riferì parecchio tempo fa che di notte vi era lo spaccio di sostanze che inibivano la fame. E mi domando, dove è il controllo di chi deve salvare le loro vite? Non si deve intervenire “post” con gli ispettori. SI DEVE INTERVENIRE PRIMA E IN MODO PREVENTIVO!

Mettiamola così: Sono talmente folle che vorrei salvarle tutte io le mie ragazze, i miei angeli, e forse loro, insieme a me lo sperano.

Da sola non basto però. Per poter portare avanti questa impegnativa e delicata battaglia sociale, ho necessità di solidarietà, collaborazione delle ragazze in primis, delle loro famiglie, delle istituzioni. Ci sto mettendo la faccia e il mio lavoro. Ho ceduto i miei diritti di autrice a delle progettualità che step by step condurranno le ragazze, i miei angeli, al re-inserimento nella vita socio-lavorativa, eliminando così le due cause principali di recidiva.

Entrate nelle librerie, ordinate e acquistate questo romanzo “L’ALTALENA. Storia di un’anoressia” di Ursula Vaniglia Orelli, poiché mi aiuterete, aiuterete la dottoressa Maria Carta, la donna che ha salvato la MIA vita, il suo staff, e i medici del Policlinico Gemelli, a curare e a far tornare alla vita chi ne ha bisogno esasperato e ce lo sta chiedendo attraverso il corpo”.

Che cosa si sta facendo per i DCA e che cosa chiedi alle istituzioni?

“Rispetto al 1991 qualcosa si è fatto. Poco e non bene. Le informazioni sono incomplete, troppo spesso addirittura sbagliate. Quindi le info sono inesatte e la sensibilizzazione è quasi pari a zero. Inoltre i medici preparati con il sistema multidisciplinare di approccio al paziente sono veramente pochi, le famiglie e le ragazze continuano a essere lasciate in solitudine.

Alle istituzioni chiedo di guardare i dati e le mappature, delle quali ho copia. I casi dichiarati, ma questo l’ho detto pubblicamente, il 29 aprile del 2016 erano tre milioni. Oggi che tutti si riempiono la bocca di questo numero, beh, sarà certamente aumentato, visto che al 2016 le statistiche erano 5/6 casi dichiarati a settimana in piccolo centro. Quel numero è sicuramente aumentato. Chiedo sensibilizzazione, collaborazione, appoggio per i miei progetti (progetto SCUOLA per ragazzi, famiglie e docenti; progetto TEATRALE col tema – violenza sulla donna/disturbi del comportamento alimentare; progetto fotografico – CRISTALLI – malattie a confronto; progetto – VITA per il re-inserimento socio-lavorativo).

A proposito di questo, voglio porre l’accento su una nota inquietante. Mi ha scritto una ragazza narrandomi la sua devastante esperienza, sua e della sua famiglia: pagano circa 500 euro a settimana per pasti assistiti dal lunedì al venerdì con tre sedute di psicoterapia e due visite dalla dietista. Sovente, anzi quasi sempre i pagamenti avvengono in nero. Ma non mi ha detto una novità, perché all’epoca, prima di incontrare la dr.ssa Maria Carta, la psicoterapeuta che salvò la mia vita, anche per me fu così, e credetemi vi sto parlando del minimo.

Alle istituzioni chiedo strutture serie, convenzionate con ospedali seri, nelle quali prestino il loro servizio medici seri.

Perché hai scritto “L’ALTALENA. Storia di un’anoressia”?

(Ursula mi legge la dedica del libro che voglio mettere in audio per dare alla voce, anziché alle parole scritte, la possibilità di cogliere la passione con cui si impegna nella sua lotta clicca su link )

“E’ un libro diverso dagli altri che parlano di anoressia. Nel mio libro è il DCA che frusta, ammonisce, accarezza”.

Hai perdonato chi ti ha fatto del male?

“No, ho perdonato l’unica cosa che andava perdonata: me stessa.

Che cosa ti aspetti?

“Di essere ascoltata dagli interlocutori cui mi sono rivolta. E ora con grande amore mi rivolgo alle ragazze, i miei angeli… Uscite dalla vergogna e gridate la vostra malattia, fatevi aiutare. Voi avete qualcosa che gli altri mai si sogneranno di possedere: avete il sole nel cuore. Dovete solo avere il coraggio di guardarlo. La certezza che vi do, ma questo lo sapete già, è che non vi lascerò mai sole. Vi amo immensamente”.

Che cosa è la scrittura per te?

“Io sono scrittura…Quando scrivo, si apre uno stargate, e non so mai quando accade, partorisco la mia parte anoressica e imbratto di emozioni fogli bianchi con la matita e lacrime . Così nascono i miei romanzi. E di un romanzo, scrivo sempre prima la fine. Le parole le ho tutte dentro la pancia. Esse si compongono da sole. A volte accarezzano, altre frustano. E attraverso esse posso toccare e accarezzare il cuore di ognuno di voi”.

Hai altri progetti editoriali?

“Sì, un libro inchiesta sul cancro, ma non chiedermi altro in merito a questo. Posso solo aggiungere che scrivo solo storie vere”.

Mentre parlavamo ancora, arrivò una telefonata sul suo cellulare. Rispose e quando terminò la conversazione mi disse che ci stavano raggiungendo due persone. Ursula mi disse “voglio presentarti due persone importanti per me: Luigi Casciani, che oltre ad essere uno dei soci di GENERA, la società che ha sposato i miei progetti e con la quale li sto portando avanti, è una persona speciale che mi protegge, e Antonella, la sua meravigliosa compagna, accogliente, con un sorriso dolcissimo, protettiva e come me diversamente pettinata!”. I suoi amici mi avrebbero aiutato, essendo esperti nello scegliere il luogo più idoneo per l’intervista video. È noto come anche le migliori interviste senza un audio decente diventino pessime. Di comune accordo abbandonammo l’idea di piazza Montecitorio e abbracciammo quella di Ursula che, intelligentemente, chiedeva al commesso della libreria Feltrinelli sita all’interno della galleria Alberto Sordi, la possibilità di usare uno spazio loro per girare la nostra intervista. Senza esitazioni glielo concesse. Iniziammo così videointervista, che potete vedere e ascoltare integralmente a fine articolo.

Ringrazio Ursula per averci parlato di un tema, come quello dell’anoressia, delicato e di cui poco si dice. Dell’intervista mi sono rimaste impresse queste parole: “… Mi rivolgo alle ragazze i miei angeli… Uscite dalla vergogna e gridate la vostra malattia, fatevi aiutare. Voi avete qualcosa che gli altri mai si sogneranno di possedere: avete il sole nel cuore. Dovete solo avere il coraggio di guardarlo. La certezza che vi do, ma questo lo sapete già, è che non vi lascerò mai sole. Vi amo immensamente”.

È un appello alla vita.

di Eligio Scatolini

 

L’ALTALENA

Edito alpes e distribuito da Messaggerie

Editore Euro 12

Con alto patrocinio del Consiglio Regionale del Lazio

Ordinabile in tutte le librerie sul territorio nazionale

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