Le alleanze pericolose di Weah

Era il 1996 quando George Weah decise di scrivere una delle pagine più belle della storia del calcio. Un gol sensazionale, di quelli che in gergo chiamano coast to coast. Una cavalcata palla al piede dall’area di rigore del Milan fino alla porta dell’Hellas Verona. Corsa, dribbling, gol. Quell’anno sarebbe diventato campione d’Italia con i rossoneri e in tasca già aveva il Pallone d’Oro, il primo e finora unico africano a vincerlo.

George Weah ha fatto un’altra cavalcata delle sue, ma questa volta non su un campo di calcio. Ai ballottaggi delle presidenziali della Liberia ha infatti battuto il rivale Joseph Boakai ed è pronto a prendere il posto di Ellen Johnson Sirleaf, a fine gennaio. Una rincorsa che dura dal 2002, anno del ritiro dal calcio giocato, e s egnata da sconfitte brucianti e passi falsi. Come nel 2005, quando si candidò e perse tra le fila del CDC, Congresso per la Democrazia e il Cambiamento. O nel 2011 quando annunciò la candidatura salvo poi essere scartato per Winston Tubman.

Quest’anno, invece, è arrivata la svolta. Weah da King George, come lo chiamavano dentro gli stadi di mezza europa (non solo Milan anche Chelsea, Manchester City, Monaco, Olympique Marsiglia), diventerà Presidente.

È la naturale conclusione di un romanzo di formazione iniziato nelle baraccopoli di Monrovia, l’eroe nazionale passato attraverso povertà e fame, poi successo, popolarità e infine passione per la sua terra. Weah, nell’immaginario collettivo del suo paese, è immagine stessa della Liberia che esce dalla guerra civile e si avvia verso il cambiamento. Lo stato africano, che conta 4 milioni di abitanti di cui oltre il 60% minorenni, ha una storia segnata da morte e dittature. Nel 1980 il golpe militare del sergente Samuel Kanyon Doe, ucciso nove anni dopo dalle milizie del Fronte nazionale, che fanno precipitare il paese nella guerra civile. Poi nel 1997, dopo oltre 200.000 vittime, l’elezione di Charles Taylor, titolare di una dittatura basata su sangue, diamanti e armi. Un periodo durato fino al 2003 e concluso nel 2006 con l’estradizione di Taylor e la sua condanna per crimini di guerra e contro l’umanità.

Ed è qui che sulla favola di Weah cala un’ombra inquietante. Perchè il passo fondamentale della sua elezione, il patto cruciale, è stato scegliere Jewel Howard Taylr, moglie del dittatore Charles, come vice presidente. E i voti decisivi, al primo turno, sono arrivati proprio dalla provincia di Bong, vecchio dominio di Taylor. E l’accusa al Pallone d’Oro africano è proprio quella di voler riportare in patria l’ex presidente. Adesso sta a lui sapersi smarcare.

di Lamberto Rinaldi

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