La rivoluzione delle donne. Subito. Se non ora, quando?

C’è una immagine, quella della ragazza di Teheran che sventola il velo, che conserverò dentro di me. La conserverò non soltanto per il ricordo di momenti di liberazione da una oppressione religiosa, ma come speranza di un mondo nuovo, che dovrà essere la negazione di quello di oggi: un mondo che non abbia il maschile come fondamento, un mondo più giusto, con pari diritti, doveri e dignità per tutte le donne e tutti gli uomini della terra.

Non ce rendiamo neanche conto, sono realtà che accettiamo passivamente: nel migliore dei casi, la donna è considerata compagna dell’uomo (nessuno dice o pensa che sia l’uomo il compagno della donna).
La disparità è dovunque, in tutti i momenti e gli aspetti della nostra vita.
Nel lessico, dove “la parte per il tutto” è sempre al maschile.
Nelle etimologie, maschili in parole come fraternità, antropologia, umanità.
Nella vita comune, dove la donna è pensata solo in funzione di servizio: in famiglia, al lavoro, nelle organizzazioni religiose, nella società.

Spesso, troppo spesso, la donna è vista come oggetto di desiderio, di disprezzo. Anzi, di proprietà. Con diritto di violenza, di stupro, di morte. Siamo in una società le considera come scontate, queste situazioni.
Poi, in qualche momento, ci sono finti momenti di sdegno, contro i femminicidi, contro le molestie. Con le donne che protestano, da vittime. E non altro. Come se si trattasse di inevitabili minoranze. Ma niente contro la società maschilista, che ne è la vera causa,
Tutto questo avviene nell’Occidente. Qualche anno fa, Marino Bariale e Massimo Bontempelli hanno scritto sulla squallida deriva dell’’Occidente, che uccide la Civiltà Occidentale, indicando la necessità di combatterne la barbarie, per salvare i valori della Civiltà Occidentale.

Se tutto questo è la nostra realtà, è non diversa, anzi peggiore, la situazione nel resto del mondo, dove i diritti della grande maggioranza delle donne (anche degli uomini) sono pura irrisione, dove la disparità tra donne ed uomini è ancora più netta, dove strutture religiose pretendono, in nome di dio, di impedire alle donne anche di mostrare il volto ed accettano di consentire nozze con bambine di nove anni.

C’è una barbarie comune, generalizzata, quella di confinare le donne in ruoli di servizio, anche quando sono scienziate di alto valore nella ricerca o nell’economia, o quando hanno eccezionali capacità nella medicina e in ogni campo dove sono richieste dedizione, intelligenza e “sorellanza” nei rapporti interpersonali.
Contro quella barbarie c’è un solo fronte possibile capace di vincere. Quello di una rivoluzione, pacifica ma complessiva, estesa ad ogni campo dell’attività umana, che solo le donne possono fare. Contro lo sfruttamento in essere nei loro confronti.
La rivoluzione delle donne. Di tutte: “Donne di tutto il mondo, unitevi” !
C’è la sensazione che qualcosa si possa fare. Ma anche il timore che la timidezza, la incultura maschilista in cui sono state abituate a vivere riesca a frenarle e che la barbarie di una umanità disumana abbia il sopravvento.
Ma è una rivoluzione necessaria. Che parli di valori, di pace, di libertà, di dignità, di amore. Non di ricchezza, di potere, di sesso.

Per un movimento generale, servono indicazioni teoriche e insieme iniziative concrete. Un riferimento importante, già operativo, è Teresa Forcades, “teologa femminista”, laureata in medicina e teologia, monaca benedettina, che si esprime con il pensiero della funzione egemone della donna e la realizzazione, contro le case farmaceutiche di tutto il mondo, che lasciano morire intere popolazioni, dove non c’è profitto.
Serve una iniziativa generalizzata, una vera rivoluzione. I movimenti del ’68, nel secolo scorso, hanno dimostrato che le donne sono in grado di fare.
Serve una rivoluzione che incida nel vivo di una società malata. Che non presenti palliativi, come quelli di un rottamatore che è riuscito a rottamare anche se stesso; o di un ex comico che cavalca l’indignazione di tanti, ma spera di non vincere; o di un lombardo che pensa di essere ai tempi delle crociate, contro poveri cristi che in Africa sono bombardati con armi costruite nella sua Lombardia o muoiono di fame.
C’è stato, qualche tempo fa un movimento “Se non ora, quando?” che fece sperare, ma che è stato vivo un solo momento.
Se non ora, quando?

di Carlo Faloci

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