Abolire le tasse universitarie è populismo oppure no?

Abolire tutte le tasse universitarie, questa è la proposta lanciata dal leader della coalizione Liberi e Uguali, Pietro Grasso. La dichiarazione, inserita in una campagna elettorale particolarmente incentrata sulle promesse fantasiose, ha sollevato diverse critiche.

L’argomento è di una certa rilevanza, soprattutto in Italia. È indubbio che, generalmente, l’aver ottenuto una laurea incide fortemente sulla felicità e sulla salute di una persona, riducendo anche i tassi di criminalità a livello sociale. La proposta di Grasso, secondo le parole del presidente del Senato, costerebbe allo stato circa 1,6 miliardi di euro.
Coloro che si oppongono al progetto, l’hanno definita un idea di destra perché andrebbe, in realtà, ad avvantaggiare solo i più ricchi. Esistono già agevolazioni per gli studenti con meno risorse economiche. Il governo Gentiloni ha introdotto un esenzione totale dalle tasse per coloro che hanno un Iseeu non eccedente i 13.000 euro. Secondo i dati dell’Inps, in questa ‘no tax area’ rientrano circa un terzo degli studenti universitari, perciò se la proposta di LeU diventasse realtà, a beneficiarne sarebbero solo gli studenti più agiati.

D’altro canto, però, un limite massimo di 13.000 euro – anche se alcune università hanno deciso di innalzare la soglia – non sembra sufficiente a includere tutte le famiglie più bisognose. Per esempio, se i fondi stanziati per i bonus venissero reindirizzati a questo scopo si potrebbe coprire una fascia più grande di famiglie. In effetti, un problema sulle rette universitarie esiste. I dati della Commissione europea ci collocano al terzo posto in Europa, dietro Regno Unito e Olanda, per quanto riguarda il costo delle tasse universitarie. In altri paesi europei l’esenzione totale delle tasse esiste già (Paesi scandinavi e Scozia tra gli altri).

La proposta di Grasso ha sicuramente avuto il merito di aver spostato il dibattito sull’università. Un tema sempre troppo trascurato mentre il problema esiste ed è centrale. Siamo, infatti, al penultimo posto in Europa per numero di giovani laureati e la tendenza è al ribasso.
L’università è già ampiamente finanziata attraverso l’IRPEF, quindi anche da coloro che non ne usufruiscono. Ma non si può non notare che arrivare a finanziare il sistema universitario esclusivamente attraverso la fiscalità generale, in un paese con una evasione fiscale enorme come l’Italia, porterebbe con sé un forte elemento di regressività. Sono, infatti, maggiormente i ricchi ad evadere le tasse.
C’è da aggiungere che i problemi a cui va incontro un giovane che vuole intraprendere una carriera universitaria non si limitano alle tasse elevate. Sarebbe, forse, più utile investire nelle borse di studio. In Italia solo uno studente su dieci ne beneficia nonostante molti di più risultino idonei. L’ultima legge di Bilancio ha stanziato solamente 20 milioni in più per le borse.

Per chi è fuori sede c’è la questione degli affitti elevatissimi. I finanziamenti per i dottorati di ricerca si sono ridotti notevolmente e tutto il settore della ricerca italiana è senza fondi, schiacciato dai due problemi speculari della precarietà e della fuga dei cervelli.
Per questi ed altri problemi e per il ruolo centrale dell’istruzione, quella dell’abolizione delle tasse non è una soluzione sufficiente. Servirebbero meno proclami e più investimenti strutturali.

di Pierfrancesco Zinilli

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