La Shoah delle donne: il dovere di ricordare

Nell’irrazionalità di tempi in cui odio, paura e diffidenza sembrano essere pronti a dominare ancora, più che mai diventa fondamentale il valore della memoria e l’impegno a raccontare l’odio del passato e la devastazione che ne derivò. Di fronte al rischio dell’oblio, spettro che assume contorni sempre più materiali, è un dovere raccontare, tramandare la Storia, continuare a dar voce alle voci lontane e passate che pagine di storia vergognosa hanno scritto o subito, perché non ritornino più.

E nell’anno in cui ricorre l’ottantesimo anniversario delle leggi razziali in Italia, non bastano soltanto i film trasmessi una volta l’anno in televisione a ricordare l’orrore della Shoah e non bastano i compiti assegnati a scuola a bambini che per fortuna di quell’orrore non hanno spesso nemmeno memoria storica. Servono, ma non bastano. Un segno importante arriva in questo senso dalla nomina a senatore a vita di Liliana Segre, la bambina che insieme a soli altri 25 piccoli italiani è sopravvissuta ad Auschwitz. Una voce già attiva nel sociale e nella diffusione culturale della storia di cui è stata testimone diretta, che ora continuerà a «indicare il valore della memoria anche da senatrice», ma, come chiarisce a seguito della nomina “a sorpresa” raccontando senza omettere gli orrori, l’umiliazione, le violenze subite da chi prima del 1938 in Italia faceva parte di una comunità come cittadino attivo, partecipe e attivo all’interno di scuole, uffici. Minoranza all’interno della quale bisogna ricordare ancor di più le donne, mogli, sorelle e madri a cui furono strappati padri, mariti e figli e costrette, nell’orrore della deportazione, a subire le più atroci violenze di genere: stupri, sterilizzazioni e aborti forzati tramite i quali i gerarchi nazisti affermavano ancor più direttamente la loro presunta superiorità.

Orrori nell’orrore di cui fu teatro principale il dimenticato, troppo spesso, campo di concentramento di Ravensbrück, campo interamente femminile progettato da Hitler per eliminare le donne “non conformi”, le ebree ovviamente, ma anche lesbiche e prostitute, disabili e rom, prigioniere politiche o comunque le donne giudicate “inutili”: un campo della violenza di genere che in circa sei anni ha visto passare da quei bracci della morte più di centomila donne, di cui almeno la metà sono morte e di cui solo il 10% era ebreo. Ravensbrück è stato probabilmente solo una fase, un dettaglio nella vergognosa storia nazista, ma si caratterizza per i crimini compiuti al suo interno: non solo contro l’umanità, ma contro un genere. Contro le donne, vittime di una violenza da raccontare ogni giorno, perché l’oblio è una seconda violenza.

di Giusy Patera

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