Il veleno di un’anima nella cruna dell’ago

Reynolds Woodcock conserva fin dai suoi primi passi nella sartoria un suo vezzo particolare: quello di nascondere qualcosa dentro i tessuti che cuce. Ha una foto di sua madre cucita dentro la sua giacca, all’altezza del cuore. La sua è diventata con il tempo la più prestigiosa maison sartoriale d’Inghilterra e questo è il suo Phantom Thread, il suo Filo Nascosto. Se lui è il centro creativo, divino del piccolo impenetrabile regno che ha creato, sua sorella Cyril è la mente operativa, amministrativa, anche nel disbrigo delle frequenti pratiche sentimentali del fratello. Soprattutto lei è la cosiddetta guardiana della soglia. Tutto nell’empireo del grande stilista è regolato fin nel piccolo dettaglio, e Cyril ne deve sorvegliare e salvaguardarne l’ineffabile ordine. Reynolds ha soprattutto bisogno che la sorella lo liberi discretamente delle donne via via ammesse nel suo reame. Perché? Lo vediamo proprio con l’ingresso nella maison di Alma, l’ultimo colpo di fulmine di Reynolds. L’equilibrio delicato – anch’esso nascosto – che sostiene e tesse tutta l’immaginazione e le creazioni sacre del Maestro non può essere scosso neanche dal tintinnio di un cucchiaino su una tazza di tè durante il breakfast. Il maschio fa tutt’uno con il suo atto creativo, non può essere scisso da niente e da nessuno da tale spazio, da tale tempio esistenziale che non è lui ad abitare, ma è esso ad abitarlo dentro. La struttura maschio-tempio-atto creativo, produttivo è inscindibile, impenetrabile, immodificabile.

Nella cruna del suo ago, il sublime sarto non fa che passare quotidianamente questo filo che celebra e cuce insieme tutto il suo potere di creare il mondo, i suoi modi, la sua moda. L’unica donna che può esservi cucita dentro, come tra la stoffa del petto di una giacca, è una donna-fantasma, quella della madre, ossia di un’origine sepolta. Fantasmatica, nascosta, non concreta, tangibile, visibile. Non c’è compromesso possibile che possa reggere a lungo. La donna è la moda stessa, il suo mero essere per passare. Per questo – e non perché Reynolds sia un cinico sciupafemmine o un triviale, impenitente scapolo – il ruolo di inflessibile di Cyril che prima di rimettere oltre la soglia ogni nuova amante del fratello le dona, come viatico, un abito da lui creato. Prezioso, ossia– nell’attimo stesso di cucire e recidere l’ultimo filo – per Reynolds già inesorabilmente passato.

La maison, la factory, ossia la facoltà, la potenzialità di creare, produrre dal nulla da parte del maschio è il potere stesso su tale mondo edificato e continuamente da lui modificato, letteralmente – fatto moda. Lui è il signore, il padrone del suo mondo. Alma lo sperimenta presto e nella maniera per lei più crudele. Lei resta solo una funzione strumentale della casa, ossia uno strumento nelle mani e nella disposizione – anche sessuale – del signore. Non è riconosciuta come co-regnate tra le pareti e le lenzuola che abita. Cerca di dirlo alla Principessa della Casa Reale d’Inghilterra – venuta alla maison per ordinare un abito – che lei non è una semplice sarta, che si chiama Alma e che vive in quella casa. Deve farlo perché Reynolds neanche la presenta. Perché? Perché lui non la riconosce come tale. A dispetto del nome Alma, lui non ri-conosce, non ammette a corte la maestà della sua anima.

La dialettica hegeliana servo-signore nasce proprio dalla lotta per il riconoscimento reciproco. Una lotta che è per la vita o la morte, perché l’amante non riconosciuto da chi è amato è come non esistesse, ossia come fosse morto o addirittura per niente nato. Il signore diventa tale perché ha il coraggio di mettere in gioco la propria vita difronte all’altro, che cede per non rischiare di perdere la propria di vita, ossia si assoggetta e si fa in questo servo. La lotta di Alma per il proprio riconoscimento da parte di Reynold corre perciò sul velenoso filo nascosto di questo scontro non solo simbolicamente ma anche fisicamente mortale.

Nel 1968 Valerie Solanas – che viveva dentro la Factory creativa di Andy Wharol – scrive SCUM – Manifesto Femminista per l’eliminazione del maschio. Non si limita, però, a scrivere ma spara davvero a Wharol. Lo centra con tre micidiali colpi di pistola riducendolo in fin di vita. In fin, anzi in fil di vita letteralmente, perché l’artista fu sottoposto a una difficile e lunga operazione chirurgica, attraverso la quale fu davvero ripreso per i capelli dalla morte. Subito dopo aver sparato a Wharol, esplode altri due pallottole, colpendo il manager dell’artista e il suo amante. Stava di fatto sparando a tutta la Factory, come struttura immodificabile di tutto il potere creativo e produttivo maschile.

Ora se sostituiamo la Factory artistica reale di Andy con la Maison sartoriale immaginaria di Reynolds, ecco che ci troviamo in situazioni che corrono sullo stesso micidiale filo della morte. Anzi, essendo SCUM e le revolverate di Valerie, precedenti di mezzo secolo il film di Paul Thomas Anderson (ormai noto come PTA), possiamo ben dire che ci troviamo qui al solito compromesso estetico borghese. PTA realizza indiscutibilmente una confezione di alta, raffinata sartoria cinematografica hollywoodiana. Essa, però, sembra offrirsi come una compensazione, appunto, meramente estetica alla riduzione drammatica operata. Ossia la riduzione relativa alla perdurante, allarmante radicalità del conflitto donna tra e uomo. Radicalità ineliminabile, perché immodificabile resta la struttura di potere e produzione in casa, nel lavoro e nella società, essendo tuttora dominante il regime patriarcale in tutto il mondo. Perciò – pur togliendosi tanto di cappello di fronte a tale sensibilissima realizzazione stilistica – non solo la commozione non scatta, ma resta anche la sensazione che sotto il prestigioso vestito non ci sia poi niente di così autenticamente nuovo.

di Riccardo Tavani

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