Quando il voto ha ottanta anni.

Ho votato per la prima volta sessanta fa, nel 1958. Molti anni sono passati, con molte tornate elettorali.

Ma una campagna di voto come quest’ultima non mi è mai capitato di vederla.

Mai così squallida, così priva di proposte concrete e credibili.

Mai promesse chiaramente assurde ed impossibili come quelle di questi giorni.

Mai un sistema elettorale così poco democratico, che dà piena delega ai capi partito di decidere su chi vogliono eleggere.

Mai un sistema di voto che sembra fatto apposta per non approdare a maggioranze coerenti.

Ma soprattutto, mai così povero di contenuti ideali.

Tutto con la logica dell’avere: prima le imprese, poi avrete anche voi: tutto con la caratteristica dell’ avrete, ma senza diritti e senza doveri …

Avrete, ma solo per benevolenza, per elemosina, per il voto che date per rinnovi contrattuali da 80 euro (ancora, 80 euro!!) dopo 10 anni.

Ma essere cittadini, no quello non lo dicono. Non dicono il dovere di essere membri e partecipi di una società solidale.

Non c’è niente con il senso dell’essere, nelle propagande elettorali.

Essere responsabili per l’ambiente che ci circonda, per il futuro di generazioni che crescono senza speranza; e battersi per un minore distacco contro l’inesorabile, crescente divario tra più poveri e più ricchi.

Essere consapevoli che corruzione, evasione fiscale, malavita organizzata proliferano ovunque anche per il nostro silenzio, la nostra ambiguità, il nostro disinteresse.

Essere sgomenti per la povertà morale di ragazzi che vivono di bullismo, di violenza tra di loro e verso insegnanti e genitori, anch’essi responsabili, vivendo di consumi, della loro diseducazione. E quindi sentire il dovere di fare qualcosa.

Essere consapevoli che la nostra società al maschile è l’immagine di una schiavitù planetaria, la più grave di tutte, quella nei confronti delle donne. E quindi lavorare perché presto, il prima possibile, si inneschi un processo mondiale, rivoluzionario, di una reale uguaglianza di diritti, di giudizio, di proposta.

Essere solidali, partecipi totalmente dei diritti del popolo senza diritti, degli esclusi, degli invisibili, dei migranti. Che non vuol dire due euro con un messaggio al numero 45…

No, vuol dire molto di più, vuol dire credere e lavorare con impegno al futuro di una società mondiale multiculturale. Vuol dire credere alla libertà dal bisogno e alla solidarietà di fratellanza e sorellanza per tutte le donne e gli uomini della terra.

No, tutto questo non c’è, nelle grida di propaganda che presto, finalmente, cesseranno. E che non avranno un risultato che dia certezze. C’è una assenza che segna la pochezza della offerta politica. Perchè il vero elemento totalmente assente in tutte le diverse posizioni dei partiti in guerra tra di loro è il messaggio di papa Francesco su un mondo non più fondato sul profitto come motore della società.

A destra, a sinistra, al centro, tra post politica, populismi e nazionalismi, non c’è spazio per la “Laudato sì”.

E questo sembra quasi un motivo per non andare a votare. Tanti ormai lo fanno, in Italia ma anche ovunque nel mondo.

Non l’ho mai fatto, nel passato, per le elezioni politiche ed amministrative. Solo per qualche referendum “minore” sono rimasto a casa.

Ed oggi mi rendo conto che non avrò modo di vedere premesse per una società diversa. E che il mio voto avrà un significato diverso da quello di mio nipote che a diciotto anni si appresta a votare per la prima volta.

Non so come si orienterà, il ragazzo, non voglio saperlo. Forse saranno le difficoltà concrete della vita a convincerlo, forse saranno spinte ideali a motivarlo. In ogni modo, voterà per il suo futuro.

Ma so perché io debbo, non posso non andare a votare.

Perché penso a quelli che si batterono nella Resistenza, che morirono per darci un paese libero, una democrazia di cittadini, dopo decenni di voti plebiscitari da sudditi.

Perché penso alle votazioni di paesi più moderni, dove votano meno della metà degli aventi diritto che riescono ad eleggere a presidente Usa personaggi come Donald Trump.

Perché penso agli operai che andavano al lavoro con “l’Unità” in mostra in tasca alla tuta, e ai parroci torinesi che erano i confidenti dell’ufficio assunzioni della Fiat.

Perche penso a Moro, a Berlinguer che vedevano un futuro con un paese moderno e veramente democratico.

Perché penso al mio voto del 2013, con governi che l’hanno stravolto per le scelte di Napolitano e le arrampicate spericolate dell’ex sindaco di Firenze.

Perché penso che sia giusto sperare che il paese che oggi vive di impresa possa ancora puntare ad essere il paese della solidarietà per tutte le donne e gli uomini che ci vivono.

di Carlo Faloci

 

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