Il rebetiko nella pelle della crisi

Uno dei concerti più interessanti di rebetiko si terrà il 5 aprile prossimo, alle ore 19, all’Atelier Autogestito ESC, in Via dei Volsci 159, a San Lorenzo, Roma. Preceduto il giorno prima, 4 aprile, alle ore 18, da un dibattito storico-critico sui testi di questo concerto presso la Biblioteca Comunale di Via Dino Penazzato 112, al Prenestino. La protagonista di questi incontri è Gaia Zaccagni, poetessa, traduttrice, musicista italiana che vive e lavora a Cipro. Insieme a lei Kostas Voros e Pantelis Ionas, gli altri due componenti del trio Utili Critici.Gaia Zaccagni ha dedicato molti anni della sua ricerca culturale alla musica rebetika ed ora è in Italia anche per presentare il suo libro Ma che vita è questa? 85 canzoni rebetike della crisi, stampato ad Atene ed edito EPT Books. È questo il massimo genere popolare greco che unisce condizione esistenziale dura, amara a denuncia sociale, ma senza concessione ad alcuna retorica politica. I testi delle canzoni sono anzi composti da versi spogli, secchi, come rami nudi aggrappati a un cielo freddo, senza raggi di speranza. È la musica del proletariato e del sottoproletariato urbano. Accordi, melodie, parole di ribellione e rovina insieme. Ossa, capelli, guance, budella, illusioni divorate dalla crisi. Quale crisi? Quella crisi, quella contorsione continua che si chiama storia umana. Il rebetiko è venuto così a stratificarsi dagli inizi del secolo scorso come una sensibilissima pelle di dentro e coriacee squame di fuori dell’anima ellenica.

Nella sua ricerca storica ed etnomusicale, Gaia Zaccagni ha raccolto questa lunga scia di canzoni che vanno dai primi anni del 1900 al 1950. Il periodo che meglio ci fa capire la formazione e la diffusione del genere è però quello che va dal 1920 al 1936, perché quello fu davvero un periodo di immane tragedia catastrofica per i greci. Tragedia bellica, migratoria, di fame, disoccupazione e sfacelo completo. Proprio da Smirne, dove il rebetiko comincia a germogliare sulle corde delle chitarre e dei bouzouki, i greci vengono cacciati dall’esercito turco a seguito di una delle più atroci sconfitte militari mai subite dalla Grecia. E proprio la musica rebetika diventa in quegli anni un filo sottile ma tenace e sempre più lungo, ramificato di resistenza esistenziale del popolo greco. Le condizioni di sprofondamento, di privazione, abiezione sociale sono cantate in tutta la loro cruda nudità drammatica e antiretorica. I greci riattualizzano una loro atavica lezione, descritta da Nietzsche nel 1872 in Nascita della tragedia, per mezzo della polarità inscindibile del dionisiaco/apollineo. Il caos, il terribile magma originario dell’esistenza rappresentato da Dioniso, deve darsi una forma attraverso Apollo. Non c’è nessuno scampo alla crudeltà della vita, del tutto indifferente alle sorti umane, se non nell’Olimpo divino, oniricamente, eppure coscientemente inventato della musica, della poesia, dell’arte. Soltanto un popolo ontologicamente, realisticamente pessimista può escogitare l’unica via per andare ugualmente avanti. Il gramsciano pessimismo della ragione e ottimismo della volontà. Così il rebetiko canta la cotica spietatezza dell’esistenza, impersonata dalle degenerazioni sociali, politiche e governative, ma senza indulgere mai in autocompiacimenti, autocommiserazioni, auto-imbellettamenti melodici e testuali. Anzi, il suo richiamo alla giustizia possibile qui e oraè proprio nel farcene sentire in maniera lancinante la mancanza tra le onde di mare e di terra del mondo amministrato. Più ce ne fa sentire la mancanza, più non possiamo rinunciare a quella giustizia.

È questo che hanno capito tutte le varie forme di autoritarismo e dittatura in Grecia. Si potevano abolire tutti i diritti, le libertà, le pagnotte che si volevano, ma finché continuava a srotolarsi e a tessere il filo del rebetiko tra i diseredati non si poteva piegare interamente un popolo. Per questo i divieti, le censure, gli arresti nei confronti di artisti, esibizioni e canzoni che Gaia Zaccagni ricostruisce con rigore storico-critico nella sua opera, corredandola di un apparato di riferimenti biografici, bibliografici ed etnomusicali di notevole valore documentale.

In Disturbo della quiete pubblicadel 1960 canta Ghiorgos Zambetas, ricordando una legge del 1936 che cerca di stroncare alla radice la musica rebetika: “Piangete pure, magkes, questa sera!/ È uscita una legge:/ ci chiuderanno la bettola,/ ci romperanno il bouzouki./ Che ci facciamo più con la vita?/… Mi hanno preso da parte/ e mi hanno messo sotto controllo./ Mi hanno vietato di piangere/ e di dire la mia pena/ al mio dolce bouzouki”. (Tutte le canzoni sono con il testo greco a fronte).

Mercoledì 4 aprile, ore 18, dibattito e musica alla Biblioteca Comunale Penazzato, Via Dino Penazzato 112, al Prenestino.

Giovedì 5 aprile, ore 19, concerto a ESC, Via dei Volsci 159, San Lorenzo, Roma.

di Riccardo Tavani

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