Monsignor “don” Tonino Bello: dai segni del potere al potere dei segni.

La rinuncia ai segni del potere in favore di una “Chiesa del Grembiule”; in queste parole è racchiuso il pensiero di don Tonino Bello, vescovo di “rottura” nel panorama ecclesiastico Italiano. Nato ad Alessano (Lecce) il 18 marzo 1935, trascorse la sua infanzia in Salento, studiando presso i seminari di Ugento e Molfetta, fino a essere ordinato sacerdote nel dicembre 1957 presso la diocesi di Ugento e Santa Maria di Leuca.

Vice rettore per ben ventidue anni dello stesso seminario di Ugento che lo aveva visto studente, nel 1979 fu nominato parroco della Chiesa Matrice di Tricase; fu lì che don Tonino maturò la consapevolezza della necessità da parte della Chiesa di una costante attenzione agli “ultimi”. Recentemente, durante la messa cresimale del Giovedì Santo, papa Francesco ha rivolto ai sacerdoti una richiesta che si adatta perfettamente al pensiero di don Tonino, quella di essere “pastori con l’odore delle pecore”; di rinunciare cioè ai ”segni del potere” per scendere in mezzo al popolo dei poveri e dei bisognosi.

Durante il suo operato presso la Chiesa di Tricase don Tonino (come avrebbe continuato a farsi chiamare anche una volta ricevuta la nomina a vescovo delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi) mostrò particolare interesse nei confronti degli indigenti, per i quali si prodigò promuovendo l’istituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie e un osservatorio della povertà; fondò inoltre una comunità per la cura delle tossicodipendenze e mise a disposizione di chiunque ne avesse bisogno (anche per un ricovero) gli uffici dell’episcopio, lasciandoli aperti giorno e notte. Fondò inoltre un centro di accoglienza per gli immigrati, in cui volle anche una piccola moschea per i fratelli musulmani, come amava definirli; altro pilastro del suo pensiero la “convivialità delle differenze”, l’apertura al dialogo, all’ascolto e alla condivisione. Con l’espressione “Chiesa del grembiule” don Tonino voleva significare proprio questo: la necessità di farsi umili, di abbandonare la “stola” che rende ministri del Vangelo in favore del grembiule che rende “lava piedi del mondo” come, d’altronde, fu durante la prima Messa (l’Ultima Cena), in cui il grembiule fu l’unico paramento; la necessità, di fatto, di essere al servizio degli altri.

Questa propensione alla difesa dei più deboli lo portò spesso a prese di posizioni pubbliche che fecero scalpore, come la sua vicinanza agli operai delle acciaierie di Giovinazzo in lotta per il diritto al lavoro. In qualità di guida della Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace in cui successe a monsignor Luigi Bettazzi nel 1985, fece duri interventi scagliandosi contro il potenziamento dei poli militari di Gioia del Colle e Crotone e contro l’intervento bellico nella Guerra del Golfo, quando manifestò un’opposizione talmente radicale da attirarsi l’accusa di istigare alla diserzione. Il cammino continuo verso la difesa della pace lo portò, nel dicembre 1992, già consumato dalla malattia, a marciare assieme a 500 volontari su una Sarajevo martoriata dalla guerra, nella spedizione che lui definì dell’“Onu rovesciata”, non l’Onu dei potenti, ma quella della base, dei poveri. Morì pochi mesi dopo, il 20 aprile 1993; a 25 anni dalla sua scomparsa, lo scorso 20 Aprile, papa Francesco ha voluto ricordarlo con un viaggio nei luoghi in cui don Tonino prestò la sua opera. Nel 2007 la Congregazione per la Cause dei Santi ha avviato il processo di beatificazione; ma per chi l’ha conosciuto, e ha vissuto tutto il suo operato, Santo don Tonino lo è già.

di Leandra Gallinella

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