Il ritiro unilaterale degli USA dall’accordo sul nucleare con l’Iran

L’amministrazione americana ha annunciato il ritiro unilaterale dal Piano d’azione congiunto globale (JCPOA)siglato 14 luglio del 2015 dopo un processo negoziale durato 12 anni.
Scopo dell’accordo – firmato da Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Stati Uniti, UE e Iran – era garantire un uso pacifico del programma nucleare iraniano e favorire lo sviluppo di relazioni internazionali fondate sulla fiducia e sul rispetto reciproco.
Sulla base di quell’accordo l’Iran ha fatto importanti concessioni tecniche per quanto riguarda il funzionamento del suo programma nucleare civile ottenendo in cambio un moderato sgravio delle sanzioni.
La Repubblica Islamica si è impegnata a ridurre le scorte di uranio del 98%, a portare le sue centrifughe dalle 19.000 in funzione al momento della firma a 6.104 nei successivi dieci anni, a modificare il reattore IR-40 di Arak in modo che sia impedita la produzione di plutonio per uso militare e, soprattutto, a sottoporre le sue attività al monitoraggio degli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA).
In cambio di tali concessioni il piano di azione del 14 luglio prevedeva la rimozione delle sanzioni imposte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e di quelle multilaterali e nazionali.
In questi anni, mentre l’AIEA certificava l’attuazione delle misure previste nel JCPOA da parte dell’Iran, e nonostante la revoca formale delle sanzioni avvenuta il 16 gennaio 2016, gli Stati Uniti non hanno mai rispettato l’accordo.
Il ministero del tesoro americano, infatti ha lasciato operative le sanzioni finanziarie impedendo, di fatto, alle imprese occidentali di operare in Iran.
Comunque l’allentarsi della tensione e la fine, almeno formale, delle sanzioni hanno consentito all’Iran di aumentare il suo ruolo nella regione. Un protagonismo che ha generato nuove inquietudini in Israele e Arabia Saudita, i due più fedeli alleati statunitensi nell’area.
È qui la chiave di lettura della rottura. La decisione, sorprendente e ingiustificata se letta alla luce dei risultati raggiunti dall’accordo, appare invece coerente con la volontà di abbattere l’Iran come potenza regionale. Subito dopo l’annuncio si sono moltiplicati gli attacchi aerei israeliani contro obiettivi iraniani in Siria e gli scontri nella guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita combattuta nello Yemen.
Questa rottura, oltre che approfondire i conflitti in Medio Oriente e rischiare di riaccendere una crisi nucleare in un’area già altamente instabile, pone gli Stati Uniti in conflitto con gli interessi diplomatici e commerciali europei e aumenta le incertezze sulle forniture globali di petrolio.
Ora solo un’azione europea può salvare l’accordo. Un JCPOA senza gli Stati Uniti richiede, però, un forte impegno politico ed economico dell’’UE che sia in grado di garantire all’Iran i benefici fin qui solo promessi.
Solo un miglioramento delle condizioni interne potrà dare ai sostenitori iraniani dell’accordo la forza per giustificare davanti al paese -e opporsi ai falchi del partito conservatore da sempre contrari ad ogni accordo con il “Grande Satana” -una politica di moderazione pur di fronte al ritiro statunitense ma anche fornire alla Ue un vero potere negoziale su questioni fondamentali come il programma missilistico, le politiche regionali e il rispetto dei diritti umani.

di Enrico Ceci

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