Continua la strage delle morti bianche: operaio di 28 anni perde la vita all’Ilva di Taranto

Nonostante l’avanzare del progresso in tanti campi ancora oggi si muore di lavoro. Si allunga la lista degli operai vittime di gravi infortuni. Ancora una volta una vittima sul lavoro.

Arriva la tragedia di una vita spezzata. È già accaduto altre volte. Non è il primo incidente mortale. Mi chiedo: si può continuare in questo modo? È accaduto nella fabbrica tarantina, l’Ilva, che vive un nuovo momento di massima tensione con l’ennesima vittima sul lavoro. Aveva 28 anni Angelo Fuggiano, dipendente della Ferplast, una delle tante imprese appaltatrici del siderurgico. Insieme ad alcuni colleghi Fuggiano stava sostituendo la fune a una gru ferma da due giorni per manutenzione. Una delle gru che scaricano i minerali che servono alla produzione dell’acciaio.

Si tratta di un grosso e pesante cavo di acciaio. La carrucola che stava utilizzando si è staccata dall’alloggiamento del carro ponte e ha colpito con violenza il 28enne alla spalla. Sono funi molto pesanti ed è evidente che anche se si è colpiti di striscio, le conseguenze sono molto gravi. Vani i soccorsi, anche se immediati. Fuggiano è morto poco dopo l’incidente. I sindacati hanno immediatamente proclamato una giornata di sciopero.

Si sta cercando di capire meglio cosa è accaduto. La dinamica è ancora da ricostruire, ma i problemi di manutenzione erano stati rilevati da tempo. La Capitaneria di porto ha sequestrato la gru su disposizione della magistratura, la quale ha disposto l’autopsia sul corpo dell’operaio.

All’Ilva di Taranto di nuovo un incidente sul lavoro, un incidente avvenuto nell’area portuale. All’Ilva di Taranto un ragazzo di 28 anni è morto. Angelo Fuggiano lavorava per un’azienda appaltatrice alla manutenzione delle gru. Era nato e cresciuto a Tamburi, il quartiere di Taranto a ridosso dell’Ilva. Ha respirato i veleni della fabbrica e poi proprio in quella fabbrica ha cercato lavoro. Sposato, due figli piccoli. Viveva nel suo quartiere con i suoi due bimbi. Ora Angelo è morto. È stato travolto da un cavo. È andato a lavorare e non è più tornato. Era tutto per la sua famiglia, e adesso è finito così. Non si deve lavorare per morire, ma per vivere.

C’è tanto dolore, ma anche rabbia. La rabbia dei parenti dell’operaio morto, lunghi abbracci tra loro, hanno il cuore straziato. Non ci sono più parole. Forte lo sgomento che ha provocato tra i lavoratori che ricordano il collega morto, è sempre davanti ai loro occhi. Una morte che sconvolge una famiglia e lascia grande amarezza. Un’altra tragedia che impone un impegno ancora più convinto da parte delle istituzioni e delle imprese per diffondere la cultura della sicurezza negli ambienti di lavoro.

È frustrante ogni volta dover ribadire che il cammino per garantire la salute dei lavoratori ed il rispetto del lavoro è ancora lungo. Eppure ridurre e prevenire gli infortuni sul lavoro è possibile. Ci si limita ogni volta a ricordare nomi e cognomi delle vittime sul luogo di lavoro, ma senza risvolti pratici. È fondamentale un impegno da parte di tutte le forze in campo per evitare il ripetersi di tali disgrazie.

L’orrore incredibile di quello che è successo, nessuno può permettersi di dimenticare, per quanti ogni anno muoiono per incidenti sul lavoro, per far sì che da domani andare a lavorare non sia andare a morire.

di Maria De Laurentiis

Print Friendly, PDF & Email