Alfredino Rampi

Sono andato giù. Sono precipitato nel buio raschiando le pareti di quel budello

Mi chiamo Alfredo ma tutti mi chiamano Alfredino. Chissà perché mettono nomi da grandi e li diminuiscono per i bambini. Alfredo sapeva troppo di persona matura e così per tutti sono diventato Alfredino. È più bello per un bambino.

Sono nato nel 1975, l’11 di aprile a Roma. Bella Roma… è la città eterna, peccato che non l’ho potuta vivere e conoscere. Un buco, mi ha inghiottito quando avevo sei anni. Sono scivolato in quel buco che tutti si ostinano a chiamare pozzo, ma vi giuro che era proprio un buco, nascosto.

Non l’ho visto e ci sono caduto dentro. Era il 10 giugno 1981. Ancora non riesco a capire come. Ero a passeggiare con mio papà per la campagna romana. È bella la campagna vicino Frascati però a volte ti stanca, sarà stato il caldo o non so cosa, di fatto chiesi a mio padre il permesso di poter tornare a casa da solo. Credo siano state le sette di sera. Quell’ora, a giugno e ancora sole pieno. La casa non era lontano e papà mi accordò il permesso. Quel buco, quel maledetto buco, lasciato scoperto, mi ha invece inghiottito.

Un budello che era poco più largo di me, ma che è riuscito lo stesso a tirarmi giù. Non ce l’ho fatta a rimanere attaccato al bordo le mie mani erano di un bambino di sei anni, non ce l’hanno fatta a sorreggere il mio stesso peso. Sono andato giù. Sono precipitato nel buio raschiando le pareti di quel budello. Pensavo non finisse più. Scendevo, scendevo e non mi fermavo. Più scendevo e più l’angoscia mi prendeva. Più scendevo e più il buio mi prendeva la mente. I bambini hanno sempre paura del buio. Io ne avevo tanta. I miei piedi non toccavano nulla. Scendevo. Il mio respiro affannava, i miei occhi esploravano il buio e nel buio si perdevano.

Il mio cuore era un tamburo che batteva nel mio petto il mio respiro sempre più veloce la paura mi aveva preso la gola. Fermo, mi sono ritrovato di botto fermo, non so quanti metri abbia percorso scivolando verso il centro della terra. Non lo so. So solo che una volta fermo ho urlato con tutto il fiato verso l’alto. Ho urlato. Qualcuno mi sentirà. Mio padre mi cercherà, lui sa che spesso passavo di qui, lui conosce il posto. Ma forse non immaginava che qualcuno avesse scavato un pozzo. Un pozzo artesiano, uno di quei pozzi che si fanno per cercare l’acqua. Un budello di 28 centimetri di larghezza e ottanta metri di profondità. Io ero li dentro. Ero dentro l’esofago di un mostro.

Urlavo.  Mi hanno sentito, mi stavano cercando. Un poliziotto mi ha sentito. Ho sentito le loro voci. Ero 36 metri sotto terra. Provarono a tirarmi su. Provarono con una tavoletta legata a una corda, ma si incastrò prima di raggiungermi. Il mio cuore ricominciò a battere forte, lo sentivo rimbombare nel budello nero. Quella tavoletta incastrata che non andava ne su e ne giù mi angosciò ancora di più. Sentivo rumori da sopra, voci lontane che comunque erano una speranza. Provarono a calarsi, li chiamano speleologi, un nome strano, ma non mi importava come si chiamassero, volevo essere tirato su. Non ce la fecero. Arrivarono però acqua e zucchero.

Poche ore prima correvo libero per la campagna, ora sono infilato in un buco, con tanta gente sopra di me, ma che non riesce a tirarmi su. Non c’era solo la gente c’era anche la televisione. La mia storia, era rimbalzata in tutte le tv del mondo. Io, Alfredino ero la storia. No ce l’ho fatta la mia storia è rimasta per sempre una storia di morte. Ho lottato ma non ce l’ho fatta. Quell’esofago di terra mi ha preso la vita. Era il 13 giugno 1981. È bella Roma … è la città eterna, peccato che non l’ho potuta vivere e conoscere. Alfredo Rampi detto Alfredino.

di Fabio Scatolini

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