Le guardie mediche: poca sicurezza per i dottori

Il medico è quella figura di riferimento alla quale, nel corso della nostra vita, siamo costretti a ricorrere, per un raffreddore, una febbre insistente, un malessere di maggiore gravità. L’essere di fondamentale utilità per la collettività nella sua interezza, senza distinzione di buoni e cattivi, dovrebbe essere fonte di tutela, quasi in automatico, nel pensare collettivo, per chi svolge questa altruistica professione.

I medici lavorano spesso anche di notte, a volte in strutture ospedaliere, a volte presso guardie mediche disseminate sul territorio. La guardia medica si può trovare anche in posti solitari, poco controllati, dove solo la mancanza di interesse all’aggressione può tutelare chi vi trascorre le ore della luna, fino al nuovo sorgere del giorno.

Sono luoghi in sicurezza?

Sembrerebbe di no, a giudicare da quanto avvenuto e denunciato negli ultimi tempi, in modo particolare da parte di donne medico.

E’ infatti accaduto che, mentre adempivano al loro compito di cura e assistenza sul territorio, delle dottoresse siano andate incontro a spiacevoli episodi di inopportune telefonate, avances, violenze. Stupri sono stati perpetrati nei confronti di chi era presente per svolgere il proprio lavoro: aiutare il prossimo. Ci sono stati uomini che, dopo aver verificato tramite telefonate o controlli sul luogo, la presenza di un medico donna di turno, hanno atteso il momento di solitudine per attaccare e violare la dignità di chi non era nelle condizioni di potersi difendere. E’ successo a Trecastagni, in provincia di Catania, ma è successo anche in Puglia a Bari.

Nel caso di Bari la tardiva denuncia della dottoressa (occorre denunciare entro sei mesi) ha reso improcedibile l’azione nei confronti di chi avrebbe dovuto essere imputato e si è potuto quindi perseguirlo solo per l’accusa di stalking.

Sei mesi  sono indubbiamente un termine prescrittivo troppo breve nei casi di violenza sessuale, soprattutto perché, spesso, chi la subisce impiega tempo per riprendersi, per superare paura, vergogna, per riuscire a raccontare l’accaduto. Nel raccontare si deve rivivere nei particolari, purtroppo, un momento che si preferirebbe cancellare dalla propria memoria. Non è facile. Resta inaccettabile che non si tenga conto di questo stato d’animo lasciando il termine per l’azione a soli sei mesi. Si crea in questo modo una gabbia di intangibilità per il responsabile di un’azione mostruosa che mina nel profondo la serenità di una donna. Nessun uomo dovrebbe sentirsi al sicuro dopo aver commesso uno stupro. Non dopo sei mesi, non dopo un anno. Obbligatoria dovrebbe essere poi la rieducazione psicologica e un carcere senza sconti. Chi ridurrà mai la pena e la sofferenza della vittima della violenza? Senza ricorrere a quella falsa sensazione di occhio per occhio, quando si capirà che la bestia che certi uomini covano nella propria anima nascosta produce danni incancellabili e che occorre instillare sin da bambini il reciproco rispetto?

Manca qualcosa, inoltre, nei fatti, perché non si creano le condizioni per lo svolgimento in totale sicurezza di un lavoro notturno in luoghi isolati. Oggi i medici, uomini e donne, hanno la possibilità di attivare un segnale d’allarme che permette di essere richiamati da un operatore, che alla ricezione del segnale, chiede notizie sulle ragioni del segnale lanciato. Prima che i soccorsi possano arrivare chi è solo può essere rapinato, violentato, ucciso. La presenza di una seconda persona potrebbe essere di maggior aiuto. I costi aumenterebbero, questo è un dato inoppugnabile, ma sicuramente il malintenzionato ci penserebbe due volte ad aggredire, non potendo più approfittare del momento in cui si resta soli.

Le soluzioni possono essere trovate e sicuramente si deve provvedere ma, intanto, ogni sera anche nelle sperdute guardie mediche un medico, donna o uomo, prende servizio e spera che la notte trascorra senza la necessità di chiedere interventi in aiuto.

di Patrizia Vindigni

 

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