Schiavitù 2.0/ parte seconda

Anche quest’anno, come nel passato, mi ritrovo a scrivere l’ennesimo articolo sui nuovi schiavi; non afroamericani impiegati nei campi di cotone, ma donne e uomini, italiani e immigrati, regolari e non, che ogni anno sono impiegati per la raccolta nei campi, prevalentemente di pomodori, l’oro rosso del sud Italia. Persone, i cui diritti fondamentali sono negati per ciò che rappresenta il vero business dell’immigrazione. Una paga oraria che si aggira attorno ai due, tre euro l’ora, per dodici ore lavorative che, spesso, iniziano all’alba.

Dodici ore di lavoro massacrante sotto il sole cocente, una pausa per un pranzo che, spesso, si riduce a un tozzo di pane secco (come nel caso dell’arresto, in questi giorni, di due imprenditori nel trapanese che, oltre a sfruttare i braccianti agricoli nei campi, concedevano loro solo del pane secco e dell’acqua a pranzo e cena), fino al rientro negli alloggi, vere e proprie bidonville ai margini della società, con condizioni igienico-sanitarie al limite, prive di acqua corrente e di servizi igienici. Una storia che, purtroppo, ogni anno si ripete. Un fenomeno che coinvolge criminalità organizzata (che trae profitto dallo sfruttamento e dalla fornitura della forza lavoro), aziende agricole (che senza troppi esborsi possono contare su una manodopera a bassissimo costo) ma anche i lavoratori stessi, che all’inoccupazione preferiscono lo sfruttamento nei campi, anche a costo della loro stessa vita.

Perché, ogni anno, in molti sono a perdere la vita, stroncati dal caldo e dalla fatica. Una realtà oramai ben radicata e conosciuta, e nonostante ciò invisibile. In quegli stessi luoghi presi d’assalto come meta per le vacanze estive (penso al boom turistico vissuto dalla Puglia negli ultimi anni) esiste una realtà parallela, fatta di disperazione e di sofferenza, di ghetti sparsi per il territorio pugliese, di casolari abbandonati occupati da anime disperate inesistenti per lo Stato italiano (perlopiù clandestini privi di documenti, per i quali è inibito anche l’accesso ai centri accoglienza). Clamoroso il caso di Borgo Mezzanotte, nei pressi di Foggia, dove ai circa mille migranti ospitati nella struttura di accoglienza se ne aggiungono altrettanti ammassati nella baraccopoli sorta nei pressi del centro di accoglienza.

Intanto, mentre è stato indetto uno sciopero dei braccianti agricoli per ribadire la necessità d’interventi volti ad attuare misure a tutela della categoria, c’è da chiedersi quali iniziative possano essere portate avanti per combattere il fenomeno: l’appello di Nino Marino ed Enza Meli, segretari generali di Uila Sicilia e Uil Catania, è per l’”acquisto consapevole”; i consumatori, che possono scegliere di spendere i propri soldi in favore di imprese sane, sono la migliore arma per la lotta contro il racket del lavoro nero. Basterebbe, insomma, che ognuno di noi si ponesse domande sull’origine della frutta e verdura acquistata; al di la dei necessari interventi legislativi informazione e sensibilizzazione di massa rappresentano uno dei più potenti strumenti nelle mani di ognuno do noi.

di Leandra Gallinella

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