Saviano, tu mi critichi? E io ti tolgo la scorta

Nel suo delirio d’onnipotenza, il ministro dell’Interno Salvini (accostargli il prestigio di un simile ruolo brucia prima di tutto a chi scrive, ma giova ricordare che certe bestialità sono proferite da una figura istituzionale) è arrivato a minacciare Saviano di togliergli la scorta. Saviano, che la lotta alla criminalità organizzata l’ha fatta e la continua a fare – fosse anche solo come simbolo imperituro – a modo suo, a proprio rischio e pericolo, esponendosi in prima persona.

Adesso, togliere la scorta a qualcuno – e Salvini, a rigore di procedure, nemmeno potrebbe farlo – è un gesto enorme. Significa che il pericolo è cessato e non sussistono più gli estremi per una misura che, ricordiamolo, restringe le libertà in primo luogo dello “scortato”. Significa che la minaccia di un attentato alla sua vita non è più tale, magari perché chi l’ha fatta è morto oppure si trova in prigione e non esercita più un reale controllo sull’organizzazione che guidava, oppure che la stessa organizzazione è stata smantellata.

Ebbene, appurato che nel caso di Saviano la minaccia è lungi dall’essere neutralizzata, brandire come arma il togliergli la copertura degli agenti di scorta sulla base di una critica ricevuta – per quanto dura – è indice dell’atteggiamento bambinesco di chi non possiede il quoziente intellettivo adatto alla carica ricoperta (non lo avrebbe neanche per fare il semplice rappresentante in parlamento, se non fosse che il rappresentante è sempre lo specchio dei rappresentati), di chi ragiona per ripicche, dispettucci, piccole vendette, di chi s’è ritrovato a ricoprire un ruolo così delicato, quello di chi comanda la pubblica sicurezza e pertanto dovrebbe proteggerci tutti, non sa nemmeno lui come. Sarà anche colpa di chi glielo permette, pur avendo preso il doppio dei voti alle ultime elezioni?

di Valerio Di Marco

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