Ventinove anni dopo Masslo al razzismo non c’è ancora soluzione

Il 25 agosto 1989, ventinove anni fa, moriva Jerry Masslo. Il suo nome è sconosciuto ai più, nonostante la sua vicenda sia così tragica ed emblematica che potrebbe rappresentare un infinità di altre storie simili. Nato in Sudafrica, decide di lasciare il suo paese per sfuggire al regime dell’apartheid. Raggiunge l’Italia, dove non gli è riconosciuto lo status di rifugiato per un vuoto normativo ed è costretto a fare il bracciante, a raccogliere i pomodori a Villa Literno, in Campania. Proprio nella terra dei clan sarà ucciso, morto per difendere la sua paga da una rapina di uomini bianchi. La sua vita ci parla di lotta, quella sua e dei suoi compagni, e quella delle tante persone che scesero in piazza nei giorni dopo la sua morte. Ci parla anche però di sfruttamento, di colonialismo, di razzismo, di mafia, di miseria. Allo stesso modo degli incidenti di Foggia di poche settimane fa, dove in poche ore sono morti prima quattro e poi altri dodici braccianti. Anche loro erano migranti e anche loro raccoglievano pomodori. Morti in furgoni stracarichi, ammassati come bestie in una realtà in cui vale solo la logica dell’efficienza.

Ventinove anni dopo tutto si rassomiglia. I caporali, moderni schiavisti, che ora non sono solo intermediari, ma gestiscono e lucrano su tutta la vita dei migranti. Le mafie, che controllano tutto e che anche nel foggiano possono contare su una connivenza solidissima con le comunità locali. Sono circa 430 mila gli irregolari nel settore agricolo in Italia, molti sotto il regime del caporalato. Una situazione che significa mancanza totale di diritti e di una paga talmente bassa che li costringe per sempre a quella vita. Una condizione che è diventata strutturale all’interno del mercato del lavoro di alcune produzioni stagionali di frutta e verdura. La fine inevitabile di molte migrazioni.

La domanda che molti politici e tutti coloro che sentono la necessità di opporsi all’ondata di crescente razzismo dovrebbero farsi è: che cosa spinge milioni di persone, non necessariamente razziste, a credere che uomini e donne tra i più sfruttati siano la causa dei nostri problemi economici?
Il sospetto è che per superare queste convinzioni non basterà l’antirazzismo, per quanto sacrosanto. L’Italia di oggi non è il Sudafrica di Jerry Masslo. Senza capovolgere, far conoscere e denunciare quali sono le vere cause e dare un’alternativa i razzisti avranno già vinto.
Una parziale risposta la dà Oxfam, che recentemente ha rilasciato il rapporto Maturi per il cambiamento. La relazione mette a nudo gli abusi della Grande distribuzione nella filiera agroalimentare. Quello dell’agroalimentare non è che un settore, ma comunque specchio perfetto di un sistema economico iniquo e che è costruito in modo da alimentare quelle disuguaglianze. Pochissimi giganti della GDO (grande distribuzione organizzata) dominano il mercato delle vendite alimentari. Qui come in altri settori molti paesi, sia poveri sia ricchi, hanno attuato politiche di liberalizzazione e deregolamentazione dei mercati agricoli. Il risultato è che ora la percentuale del prezzo pagato dal consumatore finale è enormemente squilibrata a favore delle grandi catene di supermercati. Dall’altra parte, per paradosso, i produttori dei cibi che arrivano nelle nostre tavole molto spesso non riescono ad avere uno stipendio che gli permetta una dieta adeguata. Eppure, secondo il rapporto basterebbe rinunciare a una porzione di guadagno insignificante per le multinazionali per far in modo che questi produttori iniziali passino da salari di sussistenza a salari dignitosi.

di Pierfrancesco Zinilli

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