Dall’Egitto a San Pietro

Segreti millenari, leggende, dicerie, storie di obelischi. Dai faraoni ai papi, passando per gli imperatori romani.

Roma ‘e la città degli obelischi. Sparsi per il centro storico della città, non ci si fa più‘ caso. Quasi fossero spuntati naturalmente dal terreno. Se ne contano circa tredici e si dice che un quattordicesimo sia ancora sepolto nella zona di piazza San Luigi dei Francesi.

Ma nella Roma imperiale erano molti di più. Cominciò Augusto ad “importarli” dalla terra dei faraoni e continuò Caligola che fece degli horti vaticani, residenza imperiale, una zona di deposito di obelischi. Proprio in questa zona ne sono stati trovati ben cinque. Costanzo II, nel 357 d.C., ne posiziono uno al circo Massimo. Oggi si trova in Laterano ed è il più alto del mondo. 

Perché si chiamano obelischi? Da cosa deriva questo nome? Non deriva dall’egizio come si potrebbe credere, ma dal greco. Infatti i greci li chiamavano obeliskos, “spiedini”, per via della loro forma, lunga e sottile. 

Ma cosa si voleva simboleggiare con questi “spiedini”? Intanto non dimentichiamo che gli antichi egizi erano molto legati al culto del dio Sole. Per loro questi pilastri simboleggiavano l‘espressione più antica della luce solare, il raggio. Venivano di solito eretti al centro dei santuari solari, oppure accanto a templi o ancora in occasione di vittorie. Augusto continuò ad adottare questo simbolismo solare, portando il primo obelisco a Roma. Oggi si trova al centro di piazza del Popolo.

 Ma forse il più conosciuto, il più fotografato, quello su cui aleggiano leggende e storie è quello di piazza San Pietro. Si erge davanti la Basilica, al centro di una delle più belle piazze di Roma, circondato da un colonnato che lo avvolge quasi completamente. Osservato dai tanti turisti, che forse si chiederanno perché mischiare il sacro con il profano. Ecco. Perché un simbolo pagano è messo nel santuario della cristianità? Per giunta, posizionato proprio al centro, come per dare maggiore importanza. Ma partiamo dalle sue origini. Fu eretto a Eliopolis, città del sole, come ex voto. Augusto lo volle trasportare nella città di Alessandria come ornamento del Foro Giulio. Durante il trasporto, il grosso monolite granitico si ruppe e  cosi venne usata la parte finale più alta. 

Il resto del granito fece da base. 

Ad Alessandria ci rimase finché un altro imperatore, Caligola lo volle a Roma per abbellire il circo vaticano. La storia ci racconta la grandiosità dell’operazione. Fu costruita una grande nave per il suo trasporto, su cui il monolite fu fissato con corde e tiranti e bloccato con migliaia di chili di lenticchie, che contribuirono, si dice, a sfamare la plebe di Roma. Una volta giunta nell’Urbe, la grande imbarcazione, ormai inservibile, venne affondata e usata come molo artificiale nel porto. Alla base dell’obelisco Caligola pose un‘iscrizione in onore di Augusto e Tiberio. 

 La leggenda invece ha origini medievali, che  l’obelisco ha come protagonista anche il poeta Virgilio. Si dice che Augusto desiderasse una degna sepoltura per il grande condottiero Giulio Cesare. Invio dunque il sommo poeta a Gerusalemme: li c‘era un obelisco fatto erigere da Salomone come propria tomba. Si dice che le sue ossa fossero in una sfera d’oro, posta in punta. Ma prima di portarlo via, si consultarono i capi ebraici. Questi acconsentirono, ma chiesero in cambio, mille denari per ogni giorno di viaggio sino a Roma. E qui si entra nel mistico, nella magia di cui si credeva in possesso Virgilio. Si racconta che in un solo giorno l’obelisco fu trasportato a Roma: i capi ebraici furono beffati con pochi denari!

Una volta a Roma le ossa di Salomone furono tolte dal globo, per far posto alle ceneri di Cesare.

Un papa, Sisto V, forse per esorcizzare l’area degli horti vaticani, luogo dove Nerone martirizzò numerosi cristiani, volle posizionarlo al centro della piazza. Era il 10 novembre 1586 e l’architetto del papa Domenico Fontana fu incaricato, è proprio il caso di dirlo, della “faraonica” impresa. La spesa fu di 400.000 scudi e furono impegnati 800 operai, 140 cavalli e 40 argani. Si dice che Sisto V volesse l’assoluto silenzio durante le operazioni, pena la morte. Si dice anche che il Fontana avesse già il cavallo pronto per fuggire, qualora l’operazione fosse fallita. Ad un certo punto, sembrava che le funi cedessero. Solo le grida di un operaio che, accorgendosi che le corde di sostegno si stavano spezzando, urlò “acqua alle funi” ne impedì la rottura. Inutile dire che Sisto V non lo condannò a morte, anzi lo premiò con una cospicua somma di denaro. L’ultimo maquillage il papa lo fece sistemando una croce, simbolo cristiano, al posto del globo. 

Questi monoliti di granito, puntano al cielo dalle più belle piazze di Roma come se montassero di guardia. Sfidano i secoli, i millenni. Addirittura alcuni sono usati come gnomone per meridiane, come quello di San Pietro: sulla piazza lastricata di sampietrini sono disegnate proprio le linee di una meridiana.

Faraoni, imperatori e papi: tutti accomunati dal fascino per questi “spiedini”.

di Fabio Scatolini

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