C’è un’altra Italia che non emerge

Ci sono momenti in cui mi chiedo a che serve scrivere su Stampacritica.
Avrei voglia di pensare a gente serena, che ha speranza di ritrovare momenti di felicità, di amore. E mi trovo troppo spesso a esprimere stanchezza per un paese che sembra avere smarrito la gioia piena di determinazione che aveva portato a romperla con la vecchia Italia fascista e a pensare alla nuova repubblica come un insieme di popolo unito e solidale nella speranza di giorni migliori, da vivere insieme.
Ci sono ancora tanti, che vorrebbero questa Italia. Che è un’Italia che non teme l’arrivo di gente povera che fugge da orrori di guerre che arricchiscono le nostre fabbriche di armi. Che ogni anno con la Perugia-Assisi chiama tutti, di ogni nazione di ogni religione, di ogni colore alla marcia della pace e della fraternità, nella consapevolezza che dobbiamo fare qualcosa, perché violenza, egoismo,guerre e disuguaglianza ci stanno distruggendo la vita.
Ci partecipai alla marcia, nei miei anni giovani. E come allora, penso che tu, che noi, insieme, possiamo cambiare le cose.
Per questo continuo a scrivere. Anche se troppo spesso parlo di speranze deluse, di vicende che fanno male. Come anche oggi.

Fra le tante promesse elettorali di cui si è smarrita l’esistenza ce n’è una che per me era quella più giusta: quella della paga oraria minima di 10 euro.
Era la più giusta perché in Italia oggi ci sono paghe minime orarie di meno di 6 euro (vedi imprese di pulimento o lavoro domestico).
Perché in Italia ci sono oggi retribuzioni in nero di 2euro/ora non solo per i nemici di Salvini come braccianti agricoli indiani con permesso di soggiorno o migranti di colore (clandestini o in attesa della qualifica di rifugiati politici) nei campi di pomodoro o nelle raccolte d frutta.
Perché di fatto anche le ragazze ed i ragazzi precari nei supermercati hanno paghe mensili di 600 euro, con orario teorico di turni di 6 ore che in realtà diventano 8 o 10 (e ti dicono, se ci parli, che se protestano sono subito licenziati)
Perché con la paga oraria di 10 euro, per un lavoro di 20 ore a settimana risulterebbero (20hx10€x4,33sett.) = 866 euro al mese e parallelamente, con un lavoro ad orario completo, si arriverebbe a quasi 2.000 euro. E questo riuscirebbe anche a dare un senso economico al lavoro, e a fare accettare a tutti un reddito di cittadinanza, anche per chi non lavora, di 840 euro.

Ma di questo non si parla più. E non se ne parla perché con la paga minima oraria a 10 euro si andrebbe ad una scelta che per la prima volta andrebbe nel senso di poveri meno poveri e ricchi (perché dovrebbero pagare gli stipendi) un po’ meno ricchi.
E questo non lo vuole nessuno. Non l’hanno voluto negli anni scorsi le coalizioni leopoldiane di Renzi e, prima ancora, quelle liberal-padronali del pregiudicato di Arcore. Non lo vogliono oggi i partiti di governo, che parlano di flat tax, e cioè di un provvedimento a senso unico a favore dei ricchi, o anche, se le risorse fossero ridotte, a favore delle imprese. O che pensano al reddito di cittadinanza non come uno strumento per chi non ha trovato lavoro, ma ad una elemosina (come gli 80 euro di Renzi, né più né meno) non per dare dignità ai cittadini, ma per avere modo di portare acqua all’insaziabile idrovora dell’economia di consumo.
Niente da fare, l’economia del profitto rimane il motore unico dello sviluppo.

Forse per questo Renzi non ha voluto che il Pd avesse qualche attenzione verso il movimento 5 Stelle ed ha impedito ogni contatto a Martina.
Perché il movimento non ha riferimenti certi nell’economia, e potrebbe quindi trovare qualche connessione con contenuti di sinistra.
Ma soprattutto perché Renzi le connessioni certe le aveva e le ha, con il mondo liberale borghese, quello delle banche, delle imprese, della finanza. E spera ancora che il l’agonia del prossimo congresso Pd abbia un’improbabile risurrezione in quella direzione.

Non sono tempi facili, per chi ha una visione della società molto diversa, una visione che ha in sé le conquiste della rivoluzione francese e le suggestioni profetiche di papa Francesco.
Perché i mesi che verranno avranno tematiche insensate, con spread sperati a 120 o minacciati a 290, con sforamento del debito pubblico rispetto al Pil dell’1,6% (o del 2%, o del 2,4% o del 3%),.
Ci saranno forse con impiegati che a 63 anni andranno in pensione lasciando la scrivania dove hanno dormicchiato per 37 anni, mentre muratori della stessa età, dopo essersi rotta la schiena sulle impalcature per 36 anni dovranno continuare a lavorare…
Ci saranno giovani che continueranno a non trovare lavoro (e con la Brexit non potranno più neppure andare a Londra a lavare piatti). Ma ormai la propaganda insensata dei consumi li ha bruciati, cercheranno penose soluzioni individuali e non sapranno più ribellarsi, insieme, neppure nella consapevolezza di chi non accetta di pensare al suo futuro in un paese carico di un debito che cresce di 70 mila euro al minuto per detassare imprese che evadono Iva per 35 miliardi annui.
Ci saranno donne che continueranno a subire violenze, che si sfiancheranno nel lavoro domestico e non potranno realizzarsi con un lavoro esterno che non si trova, se non in nero, che vengono illuse con la promessa di un salario di cittadinanza che potrà arrivare forse solo a un centesimo di loro.

Ma noi, cosa facciamo? C’è un’altra Italia, fatta di gente semplice, che non vuole vivere nella continua polemica, che vorrebbe un paese diverso, pieno di fraternità, di solidarietà, di un lavoro sereno, di un amore non avvilito da esasperazioni di sesso, di qualche ora di tempo libero con la lettura di un libro e un bicchiere di buon vino.
È l’Italia che nella prima settimana di ottobre camminerà alla Perugia-Assisi, è l’Italia che spero sarà pronta, negli anni che verranno, a ritrovare iniziativa, volontà di cambiare i fondamenti della famiglia del mondo.
Non più egoismo, non più profitto come principio guida..
Ma fraternità, sorellanza, solidarietà. Con l’amore, come principio guida.

di Carlo Faloci

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