E’ la nostra lingua che ci fa comunità

“Italiani”: bella parola, ma inflazionata. Ricorre ovunque, nelle dichiarazioni, nei post sui social media, nei manifesti, alla radio, nei bar.
“Italiani”: bella parola, ma tradita da chi la snatura e la utilizza come slogan a scopo elettorale.
Cosa s’intende correttamente col termine“Italiani” sembra ormai sfuggire ai più. Per “italiani” si intende una comunità di persone che si riconosce in una stessa cultura, una medesima storia, ma soprattutto nello stesso linguaggio. La lingua italiana è difficile, bella ma ostica. Non è solo il frutto dell’opera dei sommi poeti e scrittori; la lingua italiana è piuttosto il risultato di un lunghissimo processo che inizia ufficialmente prima dell’anno mille con una testimonianza giurata e riguarda una lite tra proprietari terrieri confinanti. Le mani che hanno fatto l’italiano sono state, insomma, soprattutto mani umili, come quelle dei commercianti (non è casuale la coincidenza tra l’affermazione dell’italiano volgare e l’espansione delle attività mercantili). Nel correre dei secoli ci sono state anche persone che si sono sforzate a scrivere l’italiano perché non potevano farne a meno, perché – per esempio- si trovavano in situazioni tali per cui la scrittura salvava loro la vita, ed è quel che è successo a Bellezze Ursini.
Collevecchio, alle porte di Roma, maggio 1528.
Bellezze Ursini ha 60 anni, tre figli, è vedova da tempo immemorabile e della sua giovane bellezza non conserva che un ricordo. Donna di servizio, una vita di fatica e di espedienti, Bellezze è anche guaritrice; una popolana istruita, che sa leggere sul suo gran libro di formule ed è convinta che chi più sa più vuol sapere (e più vai inanti più vo’ sapere). Arrestata con l’accusa di essere una strega, evasa e riacciuffata, quindi torturata, Bellezze ci ha lasciato una confessione lunga nove pagine. Sa che la sua scrittura è rozza e inelegante, ma sa anche che le sue parole potrebbero salvarle la vita.

Da allora in poi, da quando Bellezze la guaritrice scrisse per salvarsi, è sempre esistito un tipo di lingua italiana cosiddetta “semplice”, che consentiva la comunicazione scritta o parlata tra persone di classi sociali differenti o provenienti da diverse regioni della penisola italiana. Ciononostante l’Italiano è sempre stato difficile, almeno fino al periodo successivo l’unità d’Italia, lo testimonia lo sforzo di chi doveva dimostrare la padronanza della lingua per accedere al diritto di voto.
Borgorose, 1899, tema per l’ammissione alle liste elettorali.
“Un vostro amico vi ha invitato a pranzo: gli rispondete che non potete andarci perché vostro padre è malato e non potete lasciarlo solo”». Un certo Fracassi Emilio provò a cominciare così: «Stimatissimo à mico mi ài vitato a pranzo gli rispondete che non potete andarci, per che mio patre sta è malato e non potete la sciarlo solo». Il voto fu 5/10 e anche lui, come tanti altri, si ritrovò escluso dai diritti politici. (dal libro di Enrico Testa, L’italiano nascosto)

La nostra lingua, che tanto lavoro è costata e per tante mani è passata, ed è ormai alla portata di tutti, è forse il vero cuore dell’ “italianità”. Piange il cuore vederla maltrattata per fretta, per ignoranza, per superbia, arroganza e superficialità anche da chi rappresenta la nostra comunità nel mondo e ha giurato di prendersene cura.

di Daniela Baroncini

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