I primi cento giorni

Dietro la ferocia, niente. I primi cento giorni sono passati ma il governo del cambiamento non sembra aver cambiato alcunché.

Non parliamo qui dei provvedimenti economici, del mirabolante Documento di economia e finanza che, ci dicono, abolirà la povertà. Il sospetto che, al contrario, finirebbe accrescere le ricchezze dei fondi speculativi che compreranno il nostro debito dietro il pagamento di interessi più alti, piuttosto che il Popolo, non è infondato.  Staremo a vedere come andrà a finire questa partita a poker, in cui l’Italia è la posta.

Guardiamo, intanto, ai provvedimenti che si riferiscono alla sicurezza. Ad oggi, il ribattezzato ministro delle interiora, non è andato oltre i tweet, le dirette facebook, le sterili ritorsioni contro i profughi e gli insulti elargiti a destra e manca: una propaganda pirotecnica che neppure a capodanno.

Anzi no, il ministro ha presentato un Decreto sicurezza. Peccato, però, che sia buono solo per saziare gli impulsi dei suoi elettori smemorati ma che rischia di creare nuova insicurezza e che, soprattutto, non risponde alle promesse, esecrabili, fatte in campagna elettorale.

Cominciamo con il rimpatrio di tutti quelli che la legge Bossi-Fini definisce clandestini. Salvini ne ha, anche, stabilito il numero: 600mila persone. Sarà pur vero che i tempi di realizzazione del programma sono quelli della legislatura ma, facendo i conti della serva, vien fuori una tabella di marcia che prevede il rimpatrio di 10mila persone ogni mese. Ora siamo al quarto mese di governo. Pensate forse che 40mila persone siano state allontanate dal territorio italiano? Avete risposto si? Siete in errore.

Sempre riguardo all’immigrazione, arma di distrazione di massa e catalizzatore di voti per la destra più becera, è stato promesso il blocco degli sbarchi e i respingimenti immediati. Riguardo al primo punto, un calo effettivamente c’è stato, ma seguito delle (contestabili) politiche dell’ex ministro Minniti, quanto ai respingimenti immediati siamo fermi gli annunci social.

Ora la Lega mira all’ampliamento della legittima difesa, un nuovo modo per chiamare la libertà di omicidio, come denunciato dall’Associazione nazionale magistrati. Una politica del fai da te che, se non aumenta la sicurezza dei cittadini, certamente favorisce la lobby delle armi (Salvini in campagna elettorale ha firmato un documento con cui si è impegnato a coinvolgere il Comitato D-477, un potente gruppo d’influenza, quando il Governo discuterà dei loro affari). Al ministero dell’Interno si sta scrivendo la sceneggiatura di una nuova versione, per niente divertente, di un classico italiano: gli spaghetti western. Stavolta, però, il sangue non sarà succo di pomodoro.

Non è mancata qualche battuta anche sulle mafie, che però sembrano scomparse dall’orizzonte politico. Eppure al ministro, sull’argomento, dovrebbero fischiare le orecchie.

Come documentato dal settimanale l’Epresso, infatti, non sono pochi i legami pericolosi tra la Lega e la ‘ndrangheta. Tanto per dire, a Rosarno – Comune simbolo dello sfruttamento dei braccianti africani e ben due volte sciolto per mafia –  il partito di Salvini ha raccolto alle ultime politiche il 13%, un vero successo se confrontato allo 0,2% delle elezioni precedenti. Uomo del miracolo è Vincenzo Gioffrè, 37 anni, imprenditore operante nel settore del verde pubblico. Dalla ricostruzione dell’Espresso, si scopre che Gioffrè è, con Giuseppe Artuso, socio fondatore di una cooperativa agricola. Il problema è che Giuseppe Artuso, secondo la procura antimafia di Reggio Calabria, è vicinissimo a una delle cosche più potenti della ’ndrangheta: quella dei Pesce. Difficile sostenere che il ministro fosse a conoscenza dei legami del rappresentante leghista con i presunti n’dranghetisti. Certo è che Salvini è stato a Rosarno per festeggiare il trionfo del 4 marzo. Anche dalla Sicilia non mancano le questioni giudiziarie per i nuovi leghisti meridionali, mentre la Campania si mette in luce per l’appoggio al Carroccio espresso dagli uomini di Cosentino, l’ex potente di Forza Italia, condannato per associazione esterna.

Nonostante tutto, ma anche per questo, la Lega cresce nei sondaggi. Evidentemente il linguaggio “popolare” infarcito di demagogia, piace molto a quegli italiani che, di questo, si accontentano.

di Enrico Ceci

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