La felicità del popolo non veste Prada

“La rivoluzione non è un pranzo di gala” scriveva Mao Tse-Tung, il condottiero della Lunga Marcia cinese nel 1934. Frase poi ripresa da Sergio Leone in apertura del suo celebre film Giù la testa, del 1971. Neanche la democrazia, però, è una sfilata di moda, nonostante essa ami sfoggiare sempre abiti all’ultimo grido, creati per essa dalle più prestigiose sartorie politiche, e indossati alla stessa stregua di idolatriche mannequin. E i social media si sono mostrati preziosi alleati nel rinforzare tale attitudine della maison democratica all’obbligo di confezionare permanentemente il nuovo. In questo ultimo periodo assistiamo però a uno scontro che ha poco a che vedere con un Gran Galà di haute couture. Al contrario, la rissa vede le indossatrici strapparsi i capelli tra loro, e ridurre a brandelli sia le preziose acconciature, sia le vertiginose creazioni sartoriali. Proprio l’Italia – questa immensa passerella da sfilata storica aggettata sul Mediterraneo – è il centro nevralgico del parapiglia. E non è la prima volta che questo accade alla cosiddetta Italietta.

Ciò che appare sotto il vestito è l’osceno. L’osceno della violenza, della virulenza dei contrapposti interessi in gioco. Da una parte la conformazione sovranazionale, sovra continentale dell’economia ormai egemonica; dall’altra quella conseguentemente soccombente dei vecchi confini geografici e ideologici della politica, e con essa della democrazia. L’Europa, soprattutto – pur lasciando intatti questi confini e la loro formale autonomia –, ha voluto incardinare il rispetto dei patti sottoscritti tra tutti i suoi Stati, non sulla aleatorietà della parola, della discorsività politica, ma su quella stringente, inconfutabile dei dati e dei parametri algebrico-economici. Chi finisce per determinare però i valori di tali dati e parametri matematici su scala planetaria? Indubbiamente chi – sulla scorta degli immani profitti che riesce globalmente a realizzare – sa anche esercitare egemonicamente il proprio potere nella relazione conflittuale con tutte le altre forze – sociali, politiche, ideologiche, religiose – in reciproca competizione tra loro. Soprattutto perché l’attuale evoluzione tecno-elettronica consente oggi all’economia di scavalcare ogni precedente limite e confine, geo-politico e legislativo che dir si voglia.

L’Europa, ossia l’origine logica, prima ancora che cronologica dell’Occidente, è al fondamento sia di quei valori ideali, sia del loro avanzante superamento per via informatico-economica. Ciò che drammaticamente si sta mostrando sulla superficie d’Europa, è proprio questo moto profondo che proprio dal sottosuolo italico si dirama su tutto il continente. Un moto non solo drammatico, ma dovremmo dire anche tragico, se riconduciamo questo termine al suo significato di impossibilità a trovare una mediazione, una conciliazione tra ragioni tanto forti quanto frontalmente e irrimediabilmente opposte. Tragico e anche folle, perché le forze all’apice dello scontro non sono pienamente consapevoli del poderoso cozzo logico che sta avvenendo nelle profondità geo-logiche del Continente. Si illudono di governamentarlo, ossia di guidarlo attraverso azioni di superficie che – oltrepassando di fatto tutto il precedente complesso giuridico e istituzionale – si ancorano al Popolo, o al Mercato, direttamente, in frontale contrapposizione, senza più alcuna mediazione politico-democratica.

Il Governo, la Manovra, la Felicità del Popolo, contro i continui soprusi amministrativi e bancari, le operazioni speculative degli investitori, la logica implacabile degli interessi del Mercato, che bada al sodo, non fa sconti a nessuno, ed è anzi pronta a colpire nella sua spietata indifferenza a ogni dimensione politico-morale. Non deve stupire che i nostri principali media siano schierati a favore del polo euro-economico contro quello euro-populista che – proprio a partire dall’attuale governo italiano – si va configurando su tutto il Continente in vista delle elezioni europee del maggio 2019. Stampa e TV sono sempre stati direttamente o indirettamente controllati da gruppi di interesse economico sì nazionale ma con forti intrecci e dipendenze multinazionali. Che la locomotiva Germania, anche al prezzo del suo crescente predominio continentale, si rafforzasse e trascinasse dietro di sé i lenti vagoni nazionali era utile a tutti gli altri stati europei. Solo che proprio tale abnorme predominio ha sempre impedito una vera unificazione, nella quale la Germania riconoscesse democraticamente parità politica a tutti gli altri partener europei. Proprio sulle carenze, i ritardi, gli anacronismi anche scandalosi delle economie debitorie nazionali – in particolare quelle dei cosiddetti Stati PIGS (maiali), Portogallo, Italia, Grecia, Spagna – ha fatto leva la Germania per sancire la propria egemonia, richiamandosi però al rispetto dei criteri e parametri economici oggettivi, che essa stessa ha violato quando ne ha avuto necessità. Ma alla Germania in quanto locomotiva, motore economico trainante l’intera Europa, tutto è dovuto e deve essere in deroga concesso. Non certo a Portogallo, Italia, Grecia, Spagna, le cui lettere iniziali hanno formato l’acronimo PIGS, che è però anche termine inglese che significa maiali. Maiali del debito pubblico nazionale.

L’alleanza sovranista-populista continentale che si va profilando per le prossime elezioni europee, vuole vincere per cambiare proprio tale predominio e i suoi rigidi vincoli economici. Vuole un Continente che torni agli Stati, alle patrie, ai confini, alle autonomie politiche nazionali. Lo scontro tra la Manovra del Popoloe la rigidità della Commissione Europea, è già ora utilizzato ai fini della campagna elettorale. Se lo splafonamento al 2,4% del contenimento debitorio sarà bocciato la Ue se ne assumerà tutte le responsabilità politiche ed elettorali. Se invece passerà, il governo italiano si staglierà come il faro della vera alternativa continentale. Per questo lo scontro avrà poco a che fare con pranzi di gala o sfilate di moda. Per i popolar-sovranisti la Nuova Europa dovrà comunque accordarsi solo su poche ma chiare cose. Tra queste, in primo luogo, la difesa dei confini continentali e nazionali contro l’immigrazione e il terrorismo. Per il resto ogni Stato membro sarà libero di riprendere completamente il controllo e la direzione delle proprie politiche economiche. Pur in questo ipotizzato scenario, un’obiezione resta comunque ineliminabile. Esso, infatti, non scalfirà certo l’attuale assetto e l’ulteriore sviluppo sovranazionale della tecno-economia mondiale. Così non sarà proprio questa completa libertà d’azione economica riconcessa a ogni singolo Stato a favorire ancora di più quelli più forti in termini di risorse e dimensioni tecno-industriali? A concedere ancora più potenza e prepotenza economica alla Germania, alla stessa Francia in Europa, e alla Cina, agli Usa nel mondo, a danno degli Stati più deboli. Torneremo ad essere ancora più satelliti economici del secolo scorso, a manovrare ancora la leva della svalutazione monetaria, a corrompere-cooptare nuovi strati sociali e classi amministrative dominanti? Una cosa sembra comunque certa: il diavolo sì, ma il popolo nella sua lunga marcia verso la felicità non vestirà mai Prada.

di Riccardo Tavani

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