Giallo è il colore dei gilet che rappresentano la ribellione contro inquinamento, ingiustizia sociale e mancanza di rappresentatività delle istituzioni

“Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono tanti”. È passato un secolo, ma l’aforisma di Petrolini è sempre attuale.
In Italia ci siamo abituati: il fisco preleva più dai dipendenti che dai datori di lavoro, più dai pensionati che dai professionisti; per non parlare delle accise su tanti beni di consumo, che più sei povero più ti pesano, alla faccia del buon senso della progressività.
In Francia, a quanto pare, sono meno assuefatti di noi: così una piccola tassa sul gasolio ha scatenato la rivolta dei gilet gialli. Golpisti, come ha fatto intendere Macron? Eversivi, come pensa la polizia, che li ha trattati con la solita strabica durezza? No: cittadini normali, che si sentono un po’ eredi della rivoluzione francese, i cui principi fondamentali (libertà, eguaglianza, fraternità) sono ancora il motto, forse un pò sbiadito, della loro Repubblica.
Quella protesta è più importante di quanto non dica la cronaca, pur eclatante, delle manifestazioni, perché finisce col denunciare i tre fondamentali problemi del momento storico che viviamo: il degrado ambientale del pianeta, l’impoverimento di una larga parte della popolazione e la crisi della rappresentanza politica.

Che vi sia un cambiamento climatico epocale è sotto gli occhi di tutti. Ed è sorprendente vedere come la risposta della politica, un po’ in tutto il mondo, sia del tutto inadeguata (e forse indifferente) alla gravità del problema. Alcuni governi hanno un atteggiamento irresponsabile, e scelgono di anteporre gli interessi economici di casa loro a quelli dell’intera umanità (vedi USA e Polonia). Come se poi non abitassero lo stesso pianeta. Altri, come i governi francese e italiano, fanno finta di affrontare il problema ambientale con provvedimenti fiscali velleitari e scarsamente incisivi. Come se una tassa o un incentivo potesse davvero abbattere l’emissione di gas serra! Ovviamente non ci crede nessuno, ma l’impatto economico di queste iniziative grava sui soliti tartassati: un bel rimedio alla Petrolini. È ovvio che molti francesi si siano sentiti presi in giro.
Eppure, la difesa dell’ambiente è una priorità di importanza vitale. Ed ha anche ricadute economiche rilevanti: il cambiamento climatico ci costa miliardi, e ci costerà sempre di più. Anzi, l’unico motivo per cui davvero può valer la pena di “sforare” il deficit è proprio questo: investire in energia pulita e politiche ambientali.
Questo sì che avrebbe un bel ritorno: sotto forma di futuro, prima di tutto; e poi come risparmio e occupazione, che non è male. E sarebbe una battaglia politica importante, magari da portare in Europa e nel mondo, perché diventi un obiettivo comune.

I gilet gialli protestano anche perché il popolo si è impoverito, a dispetto della crescita del PIL. Perché i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Perché il capitale si sforza, con successo, di eliminare la mano d’opera. Ma che senso ha che il paese sia più ricco se la gente è più povera? Che l’industria cresca se non dà occupazione? Ecco un’altra grande contraddizione, tipica della nostra epoca, che dovrebbe impegnare i governi a soluzioni coraggiose.
Sembra che la giustizia sociale sia diventata un’impronunciabile bestemmia; il più delle volte, i governi preferiscono aumentare il debito pubblico piuttosto che toccare la ricchezza privata. Al massimo, si danno dei sussidi (chiamandoli con nomi di fantasia: reddito d’inclusione, reddito di cittadinanza, eccetera), “finanziati” con l’aumento del debito: un ossimoro, ma anche un rimedio alla Petrolini, che peserà sulle tasche dei poveretti che non evadono le tasse. Così promette Macron e così sta facendo il nostro governo, pur di non toccare gli sprechi e l’evasione fiscale; ma senza affrontare il nodo di fondo di un’economia fuori controllo, che arricchisce solo i più ricchi e considera il nostro pianeta poco più che una pattumiera, dove buttare plastica, rifiuti tossici e anidride carbonica.
Capisco che sia difficile, ma il compito cui è chiamato chi governa è risolvere queste contraddizioni.
Sono contraddizioni che mostrano come la politica sia sempre meno rappresentativa e sempre meno in grado di ascoltare: ed è questo il terzo aspetto della protesta.

I gilet gialli sono scesi per strada a manifestare perché hanno scoperto di non essere rappresentati da nessuno nelle istituzioni politiche, neanche da quelli che avevano votato. Ed hanno, ancora una volta, messo in evidenza l’aspetto più grave della crisi della democrazia.
Infatti, se è pur vero che noi votiamo, vi sono due istanze più forti del voto stesso. Una è la scelta dei candidati, che mai come ora è stata poco trasparente. L’altra è la gestione delle campagne elettorali con criteri di marketing e di strategia della comunicazione, amplificata ed imbastardita dall’uso spregiudicato dei social media. L’elezione di Trump e di Macron sono abbastanza esemplari, come pure l’esistenza dei partiti-azienda (Forza Italia-Mediaset) e delle piattaforme informatiche dove si è messi in lista elettorale con una dozzina di like (Movimento 5 Stelle-Casaleggio srl). Per non parlare dei sospetti di manipolazione dell’orientamento elettorale da parte di potenze straniere. Anche su questo non c’è alcun dibattito pubblico, come se la cosa fosse poco interessante per la nostra società.
In un periodo storico di grave crisi, in cui tutto cambia velocemente e non certo per il meglio, l’arte della politica, cioè la capacità di governare questi processi nell’interesse dei cittadini, sembra non avere più importanza, mentre il legame tra elettore ed eletto diventa più opaco: ormai non è assurdo il sospetto che i rappresentanti politici abbiano referenti diversi dagli elettori.
Tutto questo è, a mio modo di vedere, il messaggio lanciato dalle manifestazioni dei gilet gialli, al di là dei vandalismi dei casseurs che vi si sono infiltrati e dei tentativi di qualche partito politico di metterci sopra il cappello.
A questo punto, avendo aperto con un aforisma di Petrolini piuttosto cinico, vorrei chiudere con una frase per niente cinica, ma altrettanto chiara:
“La repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini”.
È uno degli otto principi, premessi alla Costituzione della Repubblica Romana del 1849. La nostra repubblica ne è in qualche misura l’erede, essendo nata da quei movimenti rivoluzionari che ci hanno portato ad essere un Paese unito ed indipendente, ma soprattutto una democrazia costituzionale.
Non è attuale, dopo 169 anni? Non è il caso di ricordarsene e, soprattutto, di ricordarlo ha chi ha la pretesa di governarci?

di Cesare Pirozzi

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