Abbraccia l’albero, dice Sergio

Prati di Tivo ore 8.30 fa freddo, ma il freddo ci piace, ci tiene compagnia come un amico riottoso o una amante distratta che ti abbraccia pensando ad un altro. La strada per Cima Alta è chiusa al transito delle auto da una barriera di neve gelata alta un metro e mezzo. Inforchiamo le ciaspole, stringiamo le stringhe, regoliamo gli attacchi e via. Il respiro è condensa e appanna gli occhiali, Sergio cammina lentamente, ma ha il passo lungo e stargli dietro non è facile. Iniziamo a salire, tra i faggi secolari, coperti di neve, alcuni squartati dal troppo peso.

Il sole tarda ad affacciarsi e la nebbia insiste ad accompagnarci spingendoci di schiena. Il Gran Sasso fa da sfondo ai nostri mantra di montagna ripetuti con dolcezza senza aprire la bocca. Nel respiro, si ripete il mantra del buongiorno nel respiro convulso del cuore che batte accelerato per me, per Sergio il battito cardiaco è costante, non prova fatica, anni di Taiji per giungere al cammino in armonia con il respiro e il battito. Per me ci vuole ancora tanta meditazione ma piano piano arriveremo. Intanto tornante dopo tornante siamo all’ingresso della faggeta dove inizia il sentiero per la città di pietra. Tutto è neve. Tutto è amore. Tutto è silenzio. Solo la neve. La neve che cade. La neve che si posa sui rami. La neve che sposa la neve. Le ciaspole avanzano calpestando piccoli rami secchi sporgenti e le foglie scoperte dalla fame dei camosci. Sergio ogni tanto si ferma, parla agli alberi, ascolta le loro voci.

Mi invita ad ascoltare. Apri il cuore se vuoi ascoltare la voce degli alberi. Hanno storie millenarie da raccontare è mai nessuno si ferma ad ascoltarli. Mi fermo. Ascolto. Ascolto con il palmo delle mani proteso al cielo. Poi Sergio mi dice scegli un albero, un faggio, abbraccialo con amore. Bacialo e accarezzalo. Gli alberi hanno bisogno di sentirsi amati come noi abbiamo bisogno di amare. Scelgo un vecchio faggio, un po’ una signora d’altri tempi. Penso che è bellissimo come lo era in gioventù. Lo sento, sento la voce della affascinante signora che sporge dal tronco e esce dalla corteccia ferita. Ascolto. Mi avvicino. L’abbraccio. La bacio. L’accarezzo. Le ciaspole, in segno di rispetto si spostano e dolcemente si adagiano sulle radici sporgenti. Rimango abbracciato e mi commuovo. Piango di gioia. Abbracciando l’albero ho amato il faggio. Ho amato la mia vita. Il dono più bello che potessi ricevere è stato capire che l’amore è dentro di noi e intorno a noi, tra la neve in mezzo agli alberi. Il sole ancora non c’è, ma si è fatto tardi, il freddo che ci piace è ancora più freddo, le ciaspole mordono il ghiaccio, i passi si fanno più lunghi, è ora di tornare. Usciamo dal bosco con la malinconia di chi saluta l’amata, i faggi ci sorridono, i rami sussurrano il mantra che respiravamo, lo hanno  compreso. Rispondiamo al sussurro lanciando un bacio con il palmo della mano cantando la alta voce il mantra dell’amore che abbraccia l’albero.

di Claudio Caldarelli – WMR

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