La contesa sulla Nuova Via della Seta

È dal 2015 che ci occupiamo e abbiamo scritto su un tema che giunge oggi a bruciante attualità politica: la Nuova Via della Seta. Quella concepita e in via di attuazione dal nuovo impero finanziario e tecnologico cinese. Attualità soprattutto per l’Italia, per il memorandum d’intesa che il Governo cinese e quello italiano stanno firmando relativamente allo scacchiere mediterraneo-europeo di questo colossale progetto planetario. Aspre polemiche si sono immediatamente innescate in tutta Europa, Usa e nell’opposizione politica italiana.

Scrivevamo quattro anni fa: “Si tratta di un corridoio, una cintura di potente sviluppo economico e tecnologico che percorre 7.000 Km lungo terre e oceani, avvolgendo una popolazione di circa 4 miliardi di persone. Si snoda via terra da Xi’an a Samarcanda, a Teheran, Istanbul, Mosca, Minsk, Rotterdam, Anversa, Berna, Venezia. Da questa antica repubblica marinara da cui salpò Marco Polo proprio verso la Cina, la Nuova Via della Seta riprende la sua rotta attraversando i tre Oceani Indiano, Pacifico e Atlantico, collegando Venezia, Atene, Nairobi, Colombo, Calcutta, Jakarta, Kuala Lumpur, Hanoi, Hong Kong, Fuzhou, Guangzhou (sotto Shangai). Tutto questo senza contare il fitto intreccio di scali e rotte aeree che solcheranno tutto il cielo sopra la seta. Un corridoio di terra, acqua e aria, attraversato dal fuoco della tecnica, di flussi energetici ed elettronici, che ridisegna l’assetto geo-politico dell’intero pianeta. Tale progetto rende di colpo obsoleti tutti i vecchi organismi internazionali: dall’Onu, al trattato mondiale sul commercio (Wto), al Fondo Monetario Internazionale (Fmi)”.

Quanto sopra è solo relativo all’aspetto geografico e politico-statale del progetto. Scrivevamo due anni dopo, a proposito della partecipazione della Cina al consorzio dei cosiddetti Brics (Brasile, India, Russia, Cina, Sud Africa): “Non solo ma (la Cina) ha adesso costituito con esso – ma soprattutto “dentro di esso” – una “Nuova Banca per lo Sviluppo” con un capitale di base pari 100 MLD $ (una roba come sessantamila miliardi delle vecchie lire). A questo iniziale ammasso il governo di Pechino ha contribuito con 50 MLD $, ossia con la metà, puntando non a uno sviluppo qualsiasi ma a uno di alta qualità tecno-ambientale. Anzi: “uno sviluppo più giusto”, dice letteralmente la Cina. Tale strapotente turbina finanziaria si affianca alla “Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture”, dotata di altri 100 MLD $, ma cui partecipano molti altri Paesi al di fuori dei Brics, tra cui l’Italia con 2,5 MLD $. La Cina vi partecipa con circa il 30% del capitale iniziale ed è lo strumento cardine per realizzare quella “Nuova Via della Seta” che legherà in un’immensa cintura di terra, mare e aria l’intero pianeta. Non a caso l’acronimo di questa impresa globale è “BRI – Belt and Road Initiative”. Una cintura elettronicamente cablata, virtuale e materiale, di mattoni e di seta. Una vera e propria futura muraglia planetaria cinese“. Al momento la Cina – oltre i 100 MLD $ di cui sopra – stanzia 460 MLD $ per avviare il progetto BRI, più altri 40 nel Silk Road Fund. Una cifra pari a circa 1700 MLD $ è prevista come investimento complessivo finale.

Gli accordi preliminari di tale intesa sono stati già avviati dal Governo Gentiloni, attraverso un alto gruppo di monitoraggio composto da Ministero Sviluppo Economico, Ministero Economia Finanze, Istituto Commercio Estero, Cassa Depositi Prestiti, Sace, Enel, Eni, Intesa San Paolo, Politecnico Milano. La proposta cinese all’Italia riguarda l’ingresso con quote azionarie differenziate nei porti di Vado Ligure, Genova, Venezia e Trieste. Quest’ultimo soprattutto – per le sue favorevoli caratteristiche tecniche e strutturali – diventerebbe uno snodo strategico nella Maritime Silk Road, Via della Seta Marittima.

Gli Usa hanno fatto partire immediatamente le loro potenti bordate avverse. Bordate che si sono immediatamente sentite all’interno della maggioranza governativa italiana. Le hanno scaricate, infatti, direttamente addosso a Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Matteo Salvini e Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, nella sua recentissima visita ufficiale in America. E immediatamente Salvini ci ha tenuto a prendere le distanze dal parere favorevole al progetto di Conte, Di Maio e Mattarella. Gli Usa accampano la ragione di essere impegnati in un cruciale braccio di ferro sui dazi doganali con la Cina e di vedere in questa apertura strategica all’Italia un modo per sfuggire alle sue responsabilità commerciali. Forse, però, gli Usa vedono soprattutto avanzare l’ombra di un loro progressivo ridimensionamento non solo sul piano economico ma anche tecnologico.

Alla stessa stregua la UE ha posto l’allarme sul preoccupante vantaggio che la Cina acquisirebbe da una trattativa separata con i singoli Stati e non centralizzata a livello continentale. In realtà sia Francia che Germania hanno già da tempo stipulato vantaggiosissimi accordi bilaterali separati con la Cina di Xi Jinping. La Germania ha il più voluminoso interscambio economico con la Cina, pari a un astronomico ammontare di 179 MLD $. Il Dragone è presente con consistente quote azionarie dentro l’industria automobilistica tedesca (BMW), chimica (BASF), oltre all’incremento del settore informatico-elettronico 5G e delle smart city, attraverso l’inclusione nel sistema delle telecomunicazioni tedesche del colosso cinese Huawei. Senza contare che già oggi la Germania rappresenta il terminale terrestre della futura Nuova Via della Seta. L’80% dei treni cinesi diretti in Europa terminano la loro corsa in territorio tedesco, a Duisburg. In questa stessa città l’immobiliare cinese Starhai ha già gettato le fondamenta per un insediamento edilizio affaristico di 120 mila metri quadri. Nonostante le dure proteste Usa, la Germania ha cercato solo di tranquillizzare l’alleato d’oltreoceano, senza rinunciare a un briciolo dei suoi intrecci con i cinesi.

Anche la Francia ha con la Cina un interscambio notevole, seppure inferiore a quello tedesco. È pari a circa 55 MLD $, ma in costante crescita di anno in anno. Nel gennaio 2018 il Presidente Macron si è recato in Cina e ha firmato con essa ben 20 accordi nel campo infrastrutturale e commerciale. Aviazione, sanità, cultura, nucleare e e-commerce, attraverso il portale cinese JD. Questo per parlare solo delle due principali colonne politiche della UE, perché anche altri Stati del Nord e l’Inghilterra hanno da tempo concretizzato i loro accordi con la Cina e altri ne hanno in corso.

Non si può certo dire che Romano Prodi non se ne intenda di Comunità Europea e di Cina. Presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004, ha svolto negli ultimi anni un lungo ciclo di lezioni nelle maggiori università cinesi. Secondo Prodi il nostro Paese non viola nessuna regola economica e commerciale comunitaria in un eventuale accordo bilaterale con la Cina, ricordando quelli che hanno già realizzato gli altri nostri partener continentali. L’Italia deve anzi svegliarsi, correre, dato che il Mediterraneo è tornato al centro dell’interesse mondiale ed essa è al centro del Mare Nostrum. E indicando l’Oriente, Prodi si riferisce a tutto l’Est in generale, alla Russia in primo luogo.

La Nuova Via della Seta cinese spalanca indubbiamente uno spazio inimmaginabile fino a pochi anni fa verso i futuri assetti planetari. Giocare questa partita è estremamente rischioso, ma non giocarla è impossibile. La Cina la gioca con una visione strategica e prospettica di lungo periodo. Una visione che affonda nella sua altrettanto lunga tradizione storica. A dispetto delle sue ridotte dimensioni territoriali ed economiche, l’Italia ha alle spalle il prestigio di una cultura, di una civiltà che è radice, origine stessa dell’Europa e dell’Occidente. Solo se si ha la capacità dispiegare il peso, il sedimento egemonico, culturale di tale prestigio si può essere all’altezza della coscienza strategica che la contesa cinese comporta.

di Riccardo Tavani

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