La difficile situazione in Venezuela

E’ una ben strana dittatura quella venezuelana. Mente restano ignote le cause del blackout che ha colpito il paese latinoamericano, l’autoproclamato presidente Juan Guaidò è rientrato nel paese.
Guaidò, reduce da un tour in Colombia, Brasile, Paraguay, Argentina ed Ecuador, iniziato dopo il fallito tentativo di entrare nel paese con gli “aiuti umanitari” statunitensi (quelli che la Croce Rossa internazionale si è rifiutata di distribuire perché li ha considerati come un tentativo d’interferenza contro Caracas), è stato accolto all’aeroporto da Ambasciatori e industriali per poi spostarsi nelle piazze di Caracas, dove ha arringato i suoi sostenitori.
Guaidò, nel suo discorso, ha denunciato come responsabile della crisi “della luce, della benzina, dell’acqua, degli ospedali” il presidente Nicolas Maduro e ha lanciato nuovi appuntamenti di protesta in tutto il paese. Le forze dell’ordine non hanno impedito o intralciato la protesta.
Contemporaneamente, scendevano in strada anche gli elettori del governo chavista per denunciare “il sabotaggio” americano della rete elettrica e indicare in Guaidò uno strumento dell’imperialismo americano intenzionato a impadronirsi delle risorse naturali venezuelane.
Indubbiamente si tratta di segnali una “vivacità” politica che poco s’incastra con la concezione comune dei modelli d’azione di un regime totalitario.
Certo è che il Venezuela, un paese che ha grandi riserve petrolifere, sta vivendo una grave crisi istituzionale e una recessione con iperinflazione, che causa mancanza di cibo, medicine e servizi.
Una situazione che nasce indubbiamente da responsabilità nazionali, ma sulla quale soffia forte il vento di un nuovo colonialismo.
Per l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, la crisi politica, economica e sociale in Venezuela è stata “esacerbata dalle sanzioni internazionali”.
In prima fila, al fianco di Guaidò, c’è l’Amministrazione statunitense. Gli USA, come affermato dal Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, vogliono ottenere un “pacifico” trasferimento di potere: in sostanza, l’obiettivo esplicito è il rovesciamento del presidente venezuelano Nicolás Maduro.
Per ottenere questo risultato, dichiara sempre Bolton, gli Usa intendono rispolverare la “Dottrina Monroe”, la prima dottrina politica dell’imperialismo americano, che rivendica la leadership degli Stati Uniti nell’emisfero occidentale attraverso l’intervento negli affari interni di altri paesi della regione.

Sicuramente, il ritorno di Guaidó pone seri problemi al governo venezuelano: se ne contrasta l’azione rischia di scatenare una forte reazione interna e soprattutto internazionale, se non lo fa mostra al mondo la sua debolezza.
Probabilmente è anche per sfuggire a questa impasse che il presidente Maduro ha accolto l’appello al dialogo del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.
Sono cinque i punti dettati del governo venezuelano al gruppo di contatto internazionale – convocato dall’Unione europea e dall’Uruguay – per aprire con l’opposizione un processo di dialogo: il rispetto della sovranità, il diritto alla pace, la revoca delle sanzioni, un meccanismo per risolvere le differenze politiche e la non interferenza di altre nazioni o governi negli affari interni del paese.
Difficile prevedere gli sviluppi di questa iniziativa.
Certo è che il dialogo richiede che ci sia la volontà di tutte le parti, che la comunità internazionale spinga in direzione della ricerca di un accordo e, soprattutto, che la smetta di tifare, o invadere il campo, con l’intenzione di incendiare lo scontro.

di Pierfrancesco Zinilli

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