BELLA CIAO!

Addio a Tina Costa, donna libera.

“I giovani devono prendere in mano le redini di questo Paese. Devono fare come abbiamo fatto noi nel lontano ’43: stringere i pugni e andare avanti perché siamo dalla parte giusta, perché siamo dalla parte della ragione e dobbiamo continuare a camminare sulla strada del giusto e della ragione per mantenere la libertà”.

Parlava così Tina Costa durante il Roma Pride del 2018, ancora in piazza a 92 anni per chiedere, anzi per pretendere, una società più giusta, una società in cui non ci siano né primi né ultimi ma persone con uguali diritti e uguali doveri.

Tina Costa si è spenta a Roma il 20 Marzo, dopo una vita di battaglie combattute in nome dell’uguaglianza e della giustizia sociale, dell’antifascismo. In prima linea dal lontano 1943, quando, appena diciottenne, faceva la staffetta partigiana lungo la linea gotica. Il suo nome di battaglia era Silvana.

Nata nel 1925 in provincia di Rimini, suo padre, Matteo Costa, era socialista; la madre Tullia e i tre fratelli tutti comunisti. A casa Costa l’antifascismo è stato innanzitutto un principio, un ideale da insegnare ai figli, un elemento che naturalmente rientrava nell’educazione familiare.

In un documentario realizzato nel 2015 dalla UISP (Unione Italiana Sport Per tutti), dal titolo Le ragazze del ’43 e la bicicletta, Tina raccontava un episodio significativo della sua infanzia. Piccola alunna delle scuole elementari, Tina, insieme ai suoi compagni, venne invitata dalla maestra ad indossare per un dato giorno la divisa da figlia della lupa. In quell’occasione tutti, eccetto tre bambini, si presentarono a scuola in uniforme. Si trattava di Tina, di sua sorella e di suo cugino.

Tina ricorda come, alla domanda della maestra sui motivi del rifiuto, la sua fu la più semplice ma allo stesso tempo la più coraggiosa delle risposte: “Perché io non sono figlia della lupa, io sono figlia di Costa Matteo e Zappa Tullia”.

Tina aveva scelto da che parte stare e da quella parte è rimasta fino alla fine, anche a costo della vita, che in più occasioni mise a repentaglio durante la sua attività di staffetta.

Per ben due volte riuscì a salvarsi solo in extremis: una prima volta nell’Agosto del 1944 quando, incaricata di raggiungere tre partigiani al centro di Rimini, venne avvisata appena in tempo dell’imminente arrivo dei nazifascisti. Tina riuscì a scamparla ma i tre partigiani, Mario Capelli, Luigi Nicolò e Adelio Pagliarani vennero catturati e impiccati due giorni dopo. La seconda volta fu quando venne arrestata insieme alla madre e ad uno dei suoi fratelli a seguito della delazione di una spia italiana. Tutti e tre vennero condannati alla reclusione nel campo di Fossoli; si salvarono per puro caso, riuscendo a fuggire a seguito di un bombardamento alleato.

Al Pci Tina si iscrisse nel 1944 e fu Pietro Ingrao a consegnarle la sua prima tessera; successivamente si dedicò all’attività sindacale con la Cgil e divenne dirigente dell’ANPI.

La sua fu una lotta mai conclusa, sospinta dalla consapevolezza che l’antifascismo non può essere considerato un sentimento, un ideale ancorato ad un evento della nostra storia passata ma è uno stile di vita, è la speranza in un mondo più giusto e il desiderio di spendersi in prima persona affinché ciò accada. Tina Costa in questo ci credeva e credeva nel valore della memoria, nell’importanza di insegnare alle giovani generazioni che i partigiani non sono un paragrafo nel libro di storia, che ciò che siamo oggi è figlio del sangue versato ieri e che ciò per cui i partigiani hanno combattuto settanta anni fa non si è ancora pienamente realizzato, che le disuguaglianze, le discriminazioni, i diritti calpestati esistono ancora e dunque vale ancora la pena di combattere.

“Continuerò ad andare nelle scuole e a chi mi chiede chi sono i partigiani, come ha fatto un ragazzino immigrato di quarta elementare, rispondo: tutti coloro che si battono contro le ingiustizie, per la libertà, la democrazia e soprattutto per la pace. Per la pace dobbiamo unirci, oltre ogni credo politico o religioso, perché solo con la pace si risolvono i problemi”.

Ecco, essere antifascisti oggi significa non tanto, o non solo, opporsi ad un ritorno del fascismo così come fu nel Ventennio ma significa combattere qualsiasi atteggiamento, qualsiasi idea fondata sull’esclusione, sulla negazione dei diritti delle persone; significa schierarsi dalla parte degli ultimi e degli emarginati e dargli una voce; significa ricordarsi che democrazia è pluralismo, inclusione, così come Tina Costa ci ha insegnato. 

di Martina Annibaldi

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