Daniele Nardi: Verso quella pazza idea

«È stato spesso notato che tutte le montagne sembrano destinate a passare attraverso i tre stadi: un picco inaccessibile, la scalata più difficile delle Alpi, una giornata di relax per una signora.»

Albert Frederick Mummery

Trent’anni prima che la storia dell’alpinismo estremo oltre gli ottomila perfino cominciasse, che le prime nozioni di fisiologia dell’adattamento cominciassero a trapelare dalle roccaforti della comunità scientifica, un inglese, nato a Dover, anch’egli come Daniele non lontano dalmare, tentò di violare il Nanga Parbat. Siamo nel 1895. Il primo Ottomila viene conquistato nel 1950. Se non è avanguardia visionaria questa cos’altro potrebbe altrettanto definirsi tale!

La spedizioni, di appena sei uomini, non avrà successo. Troppo in anticipo addirittura, se si considera l’esiguo numero di partecipanti, le attrezzature primordiali e l’ignoto vero e proprio da fronteggiare. Nessuno prima di allora si era mai nemmeno azzardato di tentare un ottomila.

Albert Frederick Mummery scompare nel Marzo del 1895 sulle pendici del Nanga Parbat.

Oltre alla sua eroica figura di alpinista autentico dello stile alpino ci resta di lui il suo cognome, dedicato a quello che oggi è conosciuto al mondo come lo sperone Mummery, la via direttissima del Nanga Parbat che dal campo base, versante Diamir, traccia una verticale perfetta fino al ghiacciaio che lo sovrasta e di lì poi su in vetta per un altro migliaio di metri.

Tutto facile a chiacchiere!

La realtà è che come Albert Friederick nessuno prima o anche dopo di lè mai riuscito a violare il Nanga Parbat passando per quella via.

Perché?

Perché come il canto di sirena è altamente pericolosa e ingannatrice. Si fa ammirare snella, elegante, bella, sinuosa e si può osservare da lontano e da lontano ti chiama come ad invitare un tentativo possibile.

Ad aggiungersi a questo richiamo onirico si accompagna la Storia che essa stessa permetterebbe di scrivere, portando il nome del valoroso alpinista, qualora si riuscisse a violarla passando per il suo canale di ghiacci. Tutto resta ancora leggenda.

Il ghiacciaio che sovrasta lo sperone scarica quotidianamente migliaia di tonnellate di metri cubi di seracchi che spinti da monte si riversano verso valle. Per molti e celebri alpinisti tentare quella via rappresenta un suicidio annunciato. Come in fondo biasimarli, ad oggi nessuno è mai più rientrato.

Messner, che sullo sperone ha perso suo fratello Gunther nel 1970, dice “via impossibile e suicida” ma afferma anche che “l’impossibile è solo qualcosa che ancora non è stato e che ci sarà sempre un impossibile da qualche altra parte, dove ci sono i pericoli che fanno aumentare la nostra paura, perché nessuno vuole morire lassù”.

Lo Sperone resta dunque tutt’oggi un’idea, una pazza idea.

di Riccardo Battista

 

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