La chiamata dell’orso

Inseguito da un orso, scappavo attraverso la foresta. Ero troppo lento. Di lì a breve sarei stato raggiunto. Così decisi di arrampicarmi su di un albero. Ora potevo vederlo dall’alto; aspettava che scendessi. Poi perse la pazienza. Con un balzo si arrampicò sull’albero e io diventai la sua preda. L’ultima cosa che vidi fu la sua grossa testa e le sue fauci spalancate a pochi centrimetri dal mio volto, prima di svegliarmi di scatto in un bagno di sudore.

È questo che sognai qualche anno fa, quando avrei sorriso alla prospettiva di certi incontri. La vita è imprevedibile. Anche se sembra scontato dirlo, è sempre bene ricordarlo e ricordarselo.

Ho cominciato a pensare alla prospettiva prima citata quando lavoravo in un bar al centro di Roma, mentre asciugavo l’ennesimo piatto, l’ennesimo bicchiere, l’ennesima posata. Mi piaceva quel pensiero, che con il passare dei mesi si faceva sempre più insistente. Mi coccolava quando la routine mi logorava.

Persi il lavoro per una serie di eventi poco piacevoli, ma una parte di me era felice. Fanculo certe abitudini, fanculo la mal retribuzione, fanculo quell’ambiente lavorativo che scagliava solamente frustrazioni, pensai. Di quei pessimi ricordi rimase quel piacevole pensiero; un’idea di libertà che sposava perfettamente la mia passione per la fotografia. Ho esaudito quel desiderio circa sette mesi dopo. Prima ancora avevo avuto la possibilità di fotografare i cetacei nel Golfo di Taranto, a bordo della Jonian Dolphin Conservation (vedere l’articolo Stenelle striate). Quando assapori certe emozioni è difficile tornare indietro. Sentivo di non poterne fare più a meno. E così eccomi nelle foreste slovene, alla ricerca degli orsi bruni. Una ricerca difficile, tanto da farmi aspettare invano un pomeriggio intero all’interno di un capanno che pareva un forno. Ero di nuovo un bagno di sudore, ma questa volta non stavo sognando.

Quando vidi per la prima volta l’orso tanto atteso rimasi quasi senza fiato. Stavo osservando per la prima volta in vita mia l’evoluzione e il discendente di quell’unica specie primitva, l’Ursavus(l’orso delle origini), diffusasi a gruppi in ambienti differenti. La sua stazza incuteva timore, ma i suoi movimenti parevano goffi. Ho visto due esemplari combattere tra di loro. La loro goffaggine aveva lasciato spazio a una forza inimmaginabile e una rapidità sorprendente. Ripensai al sogno che avevo fatto qualche anno prima. Mi vennero i brividi, ma quell’incubo che all’inizio si presentò come un presagio funesto assunse un significato diverso.

In quell’ambiente selvaggio e lontano dai contesti urbani mi accorsi di quanto la foresta sia importante per questi animali e di come questi sfruttino le sue risorse. Scrissi un articolo (in uscita sulla rivista In Natura, ad aprile) in cui denunciavo la continua riduzione del loro habitat naturale e la caccia (legale) a cui sono sottoposti. Spero possa servire a qualcosa. Spero di smuovere qualche coscienza.

Fotografare un orso mentre ti scruta nonostante la vista non sia il suo punto forte, a differenza di olfatto e udito, è qualcosa di speciale. Mi sento fortunato. Poco importa se non applico esagerate post-produzioni e stravolgimenti vari. I miei scatti sono autentici. La fotografia in questione incarna l’essenza del momento, ma ancor prima l’indole della specie.

Di recente sono tornato ad asciugare piatti, bicchieri e posate. Ma c’è quel pensiero di libertà che ogni tanto bussa alle porte dei miei sogni. E così sono partito nuovamente. Un giorno sognai di saper volare e interagire con luci estremamente brillanti e colorate nel cielo. Credevo che la mia mente avesse esagerato. Dal finestrino di un aereo ho visto per la prima volta l’aurora boreale. Ma questa è un’altra storia, e presto ve la racconterò.

www.fabioconti.jimdo.com

foto e testo di Fabio Conti

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