Nasrin e il suo grido di libertà

Nasrin Sotoudeh la più famosa avvocatessa iraniana per i diritti umani è stata condannata a 38 anni di carcere e 148 frustate. La sentenza iraniana lascia pietrificati, senza parole, impotenti, rabbiosi, feriti nell’anima. E’ aberrante, offensiva, oltraggiosa e fin troppo crudele. Si tratta di un insulto non solo al genere umano ma in particolare a quello femminile. Provate a pensare, pensate soltanto alle 148 frustate. Forse ne basterebbe la metà per portare a morte certa una donna che ha lottato una vita intera per combattere la discriminazione femminile grazie al lavoro di avvocato. Hanno cercato di imbavagliare il grido di libertà di tutte quelle donne iraniane sottomesse ad un velo che non hanno scelto di indossare ma che la legge della Repubblica Islamica le obbliga a portare in pubblico.

Come si può immaginare le notizie non sono chiare, mancano di trasparenza, di verità, abbondano di una nebulosità voluta. Ancora nessuno ha letto gli atti del processo e i giornali ci vanno cauti dando informazioni diverse, meno inique, per smussare la tempesta, edulcorando una realtà che non si può accettare, che non si deve tollerare, nei confronti della quale il mondo intero dovrebbe agire, ribellarsi e protestare con ogni mezzo. Con parole e manifestazioni, mettendoci la faccia, urlando il proprio sdegno.

Un paese in cui qualsiasi ribellione nei confronti del regime viene visto come “attentato alla sicurezza nazionale” si può intuire ciò che ancora una volta spetta a Nasrin Sotoudeh e si può immaginare come può sentirsi questa donna coraggiosa, combattiva che già ha conosciuto il carcere.

Non è facile essere donne in Iran anche se negli ultimi anni le giovani tentano di rivendicare il proprio diritto alla scelta, alla facoltà di essere, alla libertà. Parole che in un paese in cui vige questa mentalità arcaica e misogina non si possono neanche pensare, perché da sempre sono gli uomini a decidere cosa sia giusto o sbagliato per una donna.

Penso a Nasrin come ad un’amica, ci penso con stima e ammirazione, vedo una donna che non ha mai abbandonato il suo paese con la speranza di vederlo migliorare e crescere. Stanno tentando di mettere a tacere per sempre la voce più coraggiosa dell’Iran ma il male peggiore che persone eroiche come Nasrin possano subire è la nostra indifferenza, il silenzio vigliacco e lontano, il menefreghismo. Perché è facile, troppo facile lasciarsi andare sull’onda emotiva dello sdegno collettivo e poi pensare ad altro, dimenticare. Tanto a me non succede. Tanto io non sono lei. Io non vivo lì, a me non accadrà, io sono salva e distante da quel contesto, sono battaglie loro che non posso combattere io… perché noi abbiamo questo modo “magico e terribile” di scordare, resettare, non vedere, non sapere. Il fantastico mondo dell’oblio. Non so, non voglio sapere, non scendo nei particolari, ho letto qualcosa… Molti di noi non sanno ciò che è accaduto, forse hanno solo sfiorato con gli occhi un titolo di giornale per voltare subito pagina. Se solo sapessero che è proprio voltando pagina che si inabissano le verità scomode, in Iran come nella nostra vita, perché quel non vedere non ha  più confini geografici ma distanze emotive nel nostro cuore. Un cuore che pulserà solo per permetterci di vivere una vita senza emozioni, senza speranze, senza condivisioni, senza empatia, senza voglia di fermare i nostri occhi negli occhi di un altro… chiunque esso sia, ovunque esso sia e leggere, leggere quegli occhi, allungare una mano, aiutare chi di noi ha bisogno, per permetterci di rinascere ogni volta e ogni volta in modo diverso.  Davvero è così difficile? Perché se questo è difficile io voglio la tachicardia d’amore per il mondo e emozioni da coltivare e poi… e poi ancora battaglie da combattere, per me, per tutti e adesso lasciatemi lottare per donne che sono lontane geograficamente ma che sento vicine… tanto da prenderle per mano e regalare loro il sogno della libertà. Con un velo che vola verso il cielo e mani che si stringono.

Lasciatemi lottare perché Nasrin sono io e il male peggiore che posso subire,  è la vostra indifferenza.

di Stefania Lastoria

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