Il nemico non sono i migranti ma le mafie, urla don Ciotti

La grande manifestazione organizzata da Libera, a Padova, contro le mafie, a cui hanno partecipato i familiari delle vittime, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho e tanti altri giudici e pm impegnati nella lotta alla criminalità organizzata. Dopo la lettura dei nomi delle vittime di mafia ha concluso la manifestazione don Luigi Ciotti, con un intervento atteso dalla piazza per la passione e i contenuti del discorso. Don Ciotti nel denunciare il sistema mafioso, sempre più spesso colluso con la politica è sempre più spesso al servizio della finanza nazionale e internazionale, si è rivolto ai familiari delle vittime “abbiamo un debito di riconoscenza verso chi è stato ucciso, chi è solo o è rimasto. Sono morti ma in realtà sono ancora vivi perché i loro sogni e speranze devono camminare sulle nostre gambe…bisogna rivedere tutto il sistema di riconoscimento delle vittime. Ci sono troppe situazioni in sospeso, troppe storie che non si conoscono. È da 163 anni che parliamo di mafia e questo non è possibile in un Paese civile”.

Don Ciotti ha ricordato il sacrificio di tanti, il dolore delle famiglie, l’innocenza dei bambini sacrificati dalla barbarie mafiosa e l’omertà che regna su tutto questo male che impregna la nostra società. “Il nostro pensiero oggi va soprattutto ai ragazzi di San Donato Milanese, va a padre Dell’Oglio, di cui non sappiamo più nulla, il pensiero va a questa splendida ragazza di 23 anni, Silvia Romano, cooperante in Africa. Non possiamo dimenticare la nostra gente. Abbiamo bisogno di notizie, abbiamo bisogno di verità…c’è gente che ha deciso di metterci la faccia e far capire da che parte sta. In questo momento nel nostro paese dobbiamo alzare la voce mentre tanti scelgono un prudente silenzio”. Poi, il fondatore di Libera, ha messo il dito nella piaga infetta e purulenta della mafia e delle collusioni istituzionali, dei vuoti di democrazia e delle assenze e dimenticanze della politica. “ Il nemico non sono i migranti ma le mafie.

Le aree grigie della mafia sono i vuoti di democrazia e di giustizia sociale. Le mafie sono forti quando la democrazia è debole e i diritti di tutti diventano di pochi. Le mafie sono presenti in tutto il territorio nazionale, si sono rese più flessibili e reticolate, sono loro che fanno rete e crescono nelle alleanze. Soprattutto sono diventate imprenditore e imprenditrici e non possiamo dimenticare questa area grigia di commistione tra legale e illegale. La mafia è un avversario difficile da scoprire, ma dobbiamo essere riconoscenti al lavoro di magistratura e forze di polizia. Non dobbiamo lasciarli soli e la politica deve dare strumenti: ci vogliono meno leggi e più legge nel nostro paese. Ci vogliono leggi più forti e categoriche. Ci vuole una risposta di cittadini responsabili che si assumano la loro parte di responsabilità. La democrazia chiede a ciascuno di noi di fare la sua parte”. Don Ciotti sottolinea il mutamento delle mafie, riconoscendo di come si sono insinuate dentro il tessuto sociale, in mezzo a noi, dentro le nostre case, occupando interi territori regionali, intere comunità aggiogate al ricatto mafioso e alla violenza del ricatto. Le mafie hanno cambiato pelle, si muovono in silenzio, elegantemente, con linguaggio forbito e accattivante, sono la tentazione del male al quale è sempre più difficile opporsi. Le mafie sono rassicuranti e anche affettuose, da queste nuove sembianze traggono consenso e omertà.

Don Ciotti conia un nuovo termine come mafiosità che è quel modo di sentire l’interesse privato che non si fa scrupolo di violare leggi e costruire a propria misura. Mafiosità significa anche mettere l’io davanti a tutti, non possiamo dimenticare la natura delle mafie e della corruzione che corrodono il tessuto sociale con la corruzione. La mafiosità è un avversario che tende a succhiare le energie a poco a poco e noi non possiamo stare zitti e fermi. La mobilitazione e la partecipazione, l’impegno civile e la cittadinanza attiva sono gli elementi che possono fare la differenza nella lotta per la legalità. La mafiosità ruba la verità, la giustizia e la libertà. Per questo occorre una rivoluzione politica, culturale e della società. C’è bisogno di una politica che risani una democrazia malata di ingiustizia, di eguaglianza è una rieducazione alla co-responsabilità. “ Ancora una volta le donne per amore dei figli chiedono una mano e non soldi. Quello che chiedono è di essere aiutate ad uscire da quei circuiti perché vogliono che i figli crescano non nelle famiglie mafiose, ma nella comunità. C’è ne sono tante non lasciamole sole” dice don Ciotti rivolgendosi alle donne. E sui migranti “ non possiamo continuare a difendere e tollerare un sistema nel mondo dove le cose contano più delle persone, il sistema economico dell’occidente ha depredato e derubato intere zone del pianeta. I migranti sono vittime che vengono rappresentate come colpevoli in una falsificazione della realtà. Di questo dovremmo dare conto a Dio.

Io sto con la nave Mediterranea, continua don Ciotti, sto anche con Roberto Saviano che scrive parole per alzare le coscenze”. Nella conclusione, don Ciotti, indica la strada da percorrere insieme “ il futuro ci chiede di andare incontro, non di attenderlo con le nostre ansie e paure, ci chiede di accoglierlo. C’è bisogno di una nuova etica e di un nuovo umanesimo. Abbiamo bisogno di conoscenza e soprattutto la relazione è l’essenza della vita e gli altri sono i termometri della nostra umanità. Don Peppe Diana, prima di essere ucciso dalla mafia, aveva scritto alla sua gente che bisognava salire sui tetti per annunciare parole di vita. Dobbiamo salire anche noi sui tetti per parlare di vita. Ci vuole una rivoluzione culturale e di mentalità per comprendere che il cambiamento non è dato ma è una conquista, non un nastro di partenza ma uno striscione di arrivo che richiede lotta e sofferenza. Un cammino con costi alti, di incomprensione e sacrificio, ma non ci fermiamo. Forse non ci sarà alcun fischio finale che chiude la partita, bisognerà sempre giocare ulteriori tempi supplementari. Noi ci siamo ne vale la pena”.

di Claudio Caldarelli

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