Sampietrini: serci stradali

Il sampietrino è la pavimentazione per eccellenza delle strade di Roma ma l’asfalto ormai sta prendendo il suo posto. Sta scomparendo dai vicoli della città ma rimane nel cuore dei romani. 

Vuoi mettere il fascino del sampietrino, neanche a paragonarlo con il grigiore dell’asfalto.

Ma l’economicità e la facilità di posa in opera del bitume ha quasi cancellato il sampietrino dalle strade e dai vicoli di Roma. Sopravvivono solo poche strade e alcune piazze, specialmente nei rioni di Testaccio e Trastevere.

Questo selcio, anzi a Roma si dice sercio, è un piccolo blocco di basalto, estratto per lo più dalla zona vulcanica dei colli Albani, ma anche del viterbese, di forma tronco conica. Questi blocchetti, disposti su un letto di sabbia uno a fianco all’altro, come i chicchi di un melograno, formano un lastricato.

Il nome deriva dal fatto che vennero usati per la prima volta per pavimentare la piazza di San Pietro. Fu Papa Sisto V nel 1585 a iniziare ad usarli. Clemente XII, nel 1736 ne fece largo uso. Prese il via così anche un nuovo mestiere quello del serciarolo.

Era il 14 dicembre 1890, quando a Montecompatri un paese dei castelli romani, alcuni serciaroli che provenivano da Alfedena, paese abruzzese, costituirono la “Cooperativa dei serciaroli di Alfedena” operai specializzati nella posa dei sampietrini. Nel 1927 oltre la metà delle strade di Roma era lastricata con i sampietrini. Il poeta romano Gioacchino Belli li cita in alcuni sonetti, fanno parte anche di alcune canzoni popolari romane, come “Sora Menica”. Ma le rime e le strofe facevano meno male delle sassaiole che a volte si facevano a Roma, e il sampietrino era il sercio che veniva usato per dare sfogo alla guerriglia.

Osservare i “serciaroli” risistemare le strade, periodicamente o in occasione dei lavori di “scasso” è una cosa particolare. Essi lavoravano a torso nudo e specialmente in estate sono cotti dal sole. Con un ginocchio poggiato nella sabbia del fondo, protetto da pezzi di gomma, inseriscono i sampietrini come a formare un tessuto. Uno ad uno, seguendo uno spago teso come guida. Prima creano un piccolo cratere scalzando la sabbia con la penna del martello e poi inseriscono il blocchetto di basalto e girando rapidamente il martello dalla parte della testa picchiano sul sampietrino conficcandolo solo parzialmente.  Poi un altro operaio, chiamato “battiserci”, con il suo lento avanzare ritmato dal tonfo sul sercio del “mazzabbecco”, un arnese di legno, lo conficcava fino in fondo. Il risultato era una superficie perfetta, come oggi non se ne vedono più.

Oggi è un’altra cosa. La manutenzione è più costosa e il “mazzabbecco” di ferro, rovina la testa dei sampietrini già prima del loro uso. È le superfici si deformano subito sotto il peso e le vibrazioni dell’intenso traffico cittadino.

Molte strade erano lastricate, con i serci posati a formare un tessuto a volte molto elaborato, i serciaroli erano artisti in questo. Il sampietrino cosi non fungeva anche come elemento di decoro.

di Fabio Scatolini

 

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